YOLO: You only live once
DOVE COME QUANDO. DI NUOVO.
(E sveliamo anche il perché) SI PARTE PER LA NUOVA ZELANDA. OGGI.🤘 ✈️🚵🚵🥝 Da quando ho 14 anni, sono due le cose che aspetto sempre con ansia positiva e da Final Countdown degli Europe: Il Giro d'Italia e il Viaggio in bicicletta. Anzi, diciamo tre cose: Il Giro d'Italia, il Viaggio in bicicletta e l'Atalanta in Europa. Per la Dea sui campi al di là della frontiera fisica e dei sogni però, più adatto il countdown alla Holly Benji, quello infinito che sembra non arrivare mai. Io, ho dovuto aspettare 28 anni. Il viaggio in bicicletta ha scandito la mia età e la sua evoluzione, nel bene e nel male. Da ragazzino alla ruota del padre, quasi come un'ameba che rallenta il viaggio: Picchi di entusiasmo sulle salite direttamente proporzionali ai momenti di crisi successivi, con il "tuo vecchio" al contrario costante e apparentemente mai stanco, che ti fa da chioccia e non ti abbandona mai. Da ragazzo, sempre alla ruota del padre, già dalla preparazione del viaggio, sempre con quella Sacra Triade "DOVE COME E QUANDO" che in realtà è più un duo, o meglio un duetto, alla Gianni Morandi e Lucio Dalla in "Vita". DOVE E QUANDO. Il Come già lo sapevamo, e lo sapete anche voi. Ovviamente in bicicletta. Da ragazzo leggermente più cresciuto, sempre alla ruota del padre, ma sempre più a dare cambi regolari, con la tenda e il pentolino che passano dal portapacchi del "mio vecchio" al mio. Come dovrebbe essere naturale in ogni vita, in ogni rapporto padre-figlio. Eppure, nonostante l'età che avanza, come naturale che sia, del "mio vecchio", il DOVE non si addolcisce, anzi. Il DOVE diventa un pretesto sempre più ambizioso e affamato per scoprire luoghi più selvaggi e complicati. Soprattutto perché il COME è rimasto sempre lo stesso. Così, l'ultimo DOVE, COME, QUANDO è stata una poesia tanto dolce e bella, quanto difficile da pronunciare come uno scioglilingua. ISLANDA, in bicicletta (che ve lo dico a fare), AGOSTO 2012. Da ragazzo ancora più cresciuto (adulto o uomo non mi si addice ancora, più per lo spirito che per la carta d'identità), il dove come quando lo porto ancora avanti. Fortunatamente raramente da solo, perché sulla strada, ho trovato sempre amici altrettanto affascinati da questo COME così potente e in verità meno folle di come possa apparire a chi non ci abbia mai provato. ALESSANDRO poi, ha sposato in pieno la filosofia e l'essenzialità di viaggiare in bicicletta, tanto da essere appena tornato dal Camino di Santiago a pedali e in "solitaria". Vero. Il QUANDO dipende oggi da un incastro di fattori che da ragazzino scivolavano via sull'indifferenza di chi ancora non aveva capito che fare. Ferie, mie tue loro, impegni extra lavoro, stagioni e fuso orario. Il DOVE.. Beh il dove, non possiamo più intavolarlo come una volta. Che poi intavolarlo non rende l'idea. Non c'erano tavoli pieni di mappe srotolate, compasso geografico, lente d'ingrandimento e guide sciupate e gialle d'usura. No. C'erano un traghetto, un aereo o un pullman di ritorno dal viaggio in bicicletta appena vissuto. C'era il sorriso di chi ha appena vissuto per davvero. C'erano fantasia e voglia di spingersi oltre. C'erano un padre e un figlio che già pensano al prossimo viaggio in bicicletta. Quasi a turno, senza bisogno di staccare un bigliettino, o di fare una lista di pro e contro. Il padre pronunciava a voce alta e occhi chiusi un luogo, il figlio piacevolmente stupito, gli stringeva la mano già sognando. L'anno dopo il figlio pronunciava a voce alta e occhi chiusi un luogo, il padre piacevolmente stupito, gli stringeva la mano già sognando. Così, citando solo gli ultimi due, l'Irlanda fu farina tua, l'Islanda mia. E dopo l'Islanda ho barato. Su quel Boeing 727, ti ho anticipato e ho approfittato della hostess che ti portava il classicissimo tramezzino ai cetrioli. Eri impegnato a scartarlo e ti ho anticipato, anche se forse era il tuo turno. Ho sparato un dove, talmente dove?! che non hai saputo dire niente. I tuoi occhi azzurri già sognavano il verde e l'infinito di una nuova terra così lontana. Papi, ti rendi conto, più lontano di così non si può pedalare. Quel dove era ed è la NUOVA ZELANDA. Il quando però è rotolato via in un cassetto da chiudere per qualche tempo, per cause di forza maggiore. Ora quel quando è arrivato. Questa settimana è giunto il momento di spalancare quel cassetto e di liberare la potenza di un viaggio in bicicletta, che ci sembra di dover fare da una vita. Purtroppo Franco non ci sarà in questo viaggio. Almeno apparentemente. Perché Simone e Alessandro, non appena avranno un momento di crisi, e sì che l'avranno, non abbasseranno lo sguardo come si è soliti fare nelle difficoltà, ma lo alzeranno verso quel serpentone infinito d'asfalto, sapranno di avere ancora un maestro in questa disciplina così unica e preziosa. Si ricorderanno il suo mantra, ricamato anche sulla divisa: LENT MA SEGUENT. E di certo non molleranno un centimetro. Dove come e quando. NUOVA ZELANDA, NOVEMBRE 2019. Come?! Veramente dobbiamo specificarlo?! 🚵🚵 Quest'anno poi ci vedrete raccontare il viaggio insieme a bellissime realtà che hanno accettato di coccolarci e aiutarci con la passione degna della migliore mamma. Dobbiamo ringraziare di cuore ELLE ERRE per averci scelti come vincitori della loro bellissima ADVENTURE CHALLENGE! ROSTI per averci vestito di una divisa speciale e a tiratura limitatissima (n°4 capi al mondo!) che farà girare la testa a migliaia di pecore (non di certo per la nostra bellezza). FALCO ADVANCED NUTRITION per averci preparato barrette home-made style che saranno preziosissime per fregare le crisi. LAS HELMET per completare la divisa con un casco talmente virtuoso e leggero, da chiamarsi VIRTUS CARBON. Anche lui nero, come gli All Blacks e la loro Haka. BERTONI EYEWEAR per averci dotato di lenti policromatiche in grado di sconfiggere la variabilità estrema del meteo di questo angolo di paradiso con un pizzico di purgatorio e un pizzico di inferno. Un pizzico, q.b. Quanto basta. OUTWET. Beh qua si parla proprio di mamma. Metti la canottiera! No. Metti la canottiera! No. Non a caso era la nostra canzone preferita dello zecchino d'oro. Ora siamo cresciuti e non solo metteremo la canottiera, ma metteremo pure le cosiddette maglie della salute, una per ogni clima della New Zeland. Costiero ventilatissimo, montano ventilatissimo, entroterra ventilatissimo. #pedalandonellaterradeikiwi #lentmaseguent #nuovazelandainbicicletta #ciclismoromantico #avoi #letourdeforcecycling |
YOLO 🎸
13 NOVEMBRE 01 DICEMBRE 🎅 You Only Live Once Solo una volta. Una sola dannata volta. Una sola Paradisiaca volta. Una sola purgatoria volta. L'aggettivo dipende da noi. Ma la frase è una sentenza, l'acronimo YOLO lo sintetizza solo, senza toglierne nemmeno una goccia di significato. Anzi, lo potenzia ancora, trasformandolo in una sigla perfetta per loghi improvvisati con un indelebile sulla tasca anteriore di un vecchio east-pack rattoppato, per frasi scritte su un muro sotto al cavalcavia sferragliato dal treno sempre in ritardo, sulla condensa del finestrino dell'aereo in attesa al crepuscolo. L'HOSTESS passa a richiamare in tasca i device elettronici, tu ritrai immediatamente il dito colpevole, lo nascondi accarezzando disinvolto i jeans. Alla tua sinistra, sopra all'ala che vibra e apre uno sportello che manco sapevi esistesse, rimane un alone. Un fantasma, poco visibile, ma forte nell'anima. YOLO: You Only Live Once. YOLO, lo cantarono al mondo intero gli Strokes nel 2006. Un gruppo a caso? Non proprio, STROKES come colpi al cuore, un nome un programma. Il nostro del prossimo Novembre sarà in pieno stile YOLO. L' obló sul quale lo disegneremo sarà quello in partenza per QUEENSTOWN. YOLO, quando vuoi andarci, nella prossima vita? Magari ha ragione la Cultura BUDDISTA e ti ricarnerai in un Clacksonista cronico e la bicicletta la odierai pure (dubito). E allora YOLO, prendi il volo, la NUOVA ZELANDA aspetta silente, o meglio dire GANDALF. Il bianco. La sua terra di mezzo sarà la meta perfetta. Ora senz'altro. Ma... Perché non prendete il treno o l'aereo? Mah, l'avete letto il titolo di questo slancio di pseudo Utopia di vacanza scritto in una pausa pranzo frettolosa?! YOLO. You Only Live Once. E quindi WHY NOT?! Tanto, LENT MA SEGUENT si arriva OVUNQUE. Pure agli ANTIPODI. Nel posto più lontano dalla nostra Dea Atalanta. P.s. Stanno per arrivare pure le super DIVISE personalizzate @rosti.it, ESPLOSIVE! Grazie a @elleerre_it, che ci permetteranno di essere visibilissimi pure di sera, GIALLO FLUISSIMO! WHY NOT?! #letourdeforce #bikepacking #nuovazelanda #nuovazelandainbicicletta #yolo #lentmaseguent #viaggiinbicicletta #icelandbybike SAFETY FIRST
"Dear passangers, brace yourself, there is a turbulence. We're passing through a cloud. An I-cloud. It's full of pictures of food and of young people looking old."
Per fortuna c'è LAS con noi.
LAS VEGAS? no, con quella saremmo perduti.
@lashelmetsofficial !
Grazie alle precauzioni in carbonio siamo arrivati SANI E SALVI nella cittadina elettrizzante di QUEENSTOWN.
Signore e signori samo ufficialmente in NUOVA ZELANDA.
Siamo in NUOVA ZELANDA!
Siamo in NUOVA ZELANDA!
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CAPTAIN TO THE CREW
La quiete prima della partenza questa volta non si avvera. Il viaggio in Nuova Zelanda è talmente atteso, da piegare le quattro dimensioni della nostra vita e creare caos tutt'attorno.
Così il classico giorno tranquillo prima della partenza, diventa un giorno al cardiopalma e frenetico.
Il Butterfly effect, scatenato dalla sgommata del camioncino di Natural High con le nostre biciclette a noleggio trasportate a Queenstown, produce il prurito nei clienti di Simone.
In tre fanno quella chiamata che Simone aspetta da settimane, proprio alla vigilia.
Ed ecco la frenesia di lavorare fino all'ultimo secondo, prendere tutto ciò che è stato preparato fino a quel momento, e saltare le scale a due a due (poi tornare indietro e rifarle a tre a tre perché dispari, Aldo docet) carico come uno yak nepalese, per raggiungere Alessandro e genitori nella via sotto casa.
Per non parlare dei tre giorni prima, con andata e ritorno da Abu Dhabi.
Per non parlare della vigilia di Alessandro, con tanto di cambio di vita (non con un click ma con coraggio e passione), adios alle brioche, tre mesi a Girona a aggiustare biciclette e a studiare spagnolo con gran finale, il Camino di Santiago.
Ma è normale, un viaggio così, e soprattutto la nostra attesa ed aspettative attorno, sono talmente colme di sentimento, da essere un magnete potentissimo.
La chiamano legge dell'attrazione, il segreto, forza di volontà, il pensiero piega il ferro (non Tiziano), chiamatela come volete.
E poi, non appena salutiamo Laura e Paolo, e mettiamo piede sulle piastrelle fredde di Malpensa, tutto cambia aspetto.
Surreale.
La realtà rimane a casa, non c'è spazio per cose sensate e banali.
Ogni cinque minuti, la mia mano si muove da sola e tira coppini a tradimento sulla pelata mai così splendente di Alessandro (POTA MA.. LA NUOVA ZELANDA !!!).
Così, per vedere se si sveglia ed è un sogno.
L'ennesimo che facciamo ormai da un anno a questa parte.
Niente, Alessandro si gratta la pelata, a volte ride, a volte impreca. Ma non si sveglia.
È tutto vero.
Dopo la cena al MC Donald più disorganizzato al mondo, passiamo i controlli in scioltezza, nonostante il baffo da narcotrafficanti (pota ma CHE BAFFO!) e ci imbarchiamo sul primo di mille voli.
Speriamo non Pindarici. Il sole vogliamo toccarlo, ma le nostre ali non sono di cera.
Le nostre ali saranno di lega di alluminio, gomma pneumatica ed adesivi. E non si scioglieranno. Mai.
Si scioglie invece la nostra pazienza in aereo all'ennesimo annuncio "CAPTAIN TO THE CREW" sussurrato e accelerato da sembrare il ronzio di una mosca cieca.
Interrompe ancora una volta il film che non vuole partire.
E così Alessandro cambia posto, alla ricerca di uno schermo funzionante.
Vuole guardare sette film, restare sveglio e fregare il fuso orario.
Alla pubblicità del Quatar, già dorme.
Io no, come gli altri viaggi per luoghi spettacolari, non riesco a dormire.
Non riesco e non voglio.
Almeno non su questo volo. Da Doha a Sidney, di sole 14 ore (che non è la versione tarocca e abbreviata di un noto quotidiano di finanza), ne riparliamo.
Promesso, vedrete che "CAPTAIN TO THE CREW, CAPTAIN TO CREWNZHDBXJNZBZ JFJFJCKFNJCBBzcczxxzcsgdvhdndjxndkxn"
Voleranno, voleremo in fretta.
La quiete prima della partenza questa volta non si avvera. Il viaggio in Nuova Zelanda è talmente atteso, da piegare le quattro dimensioni della nostra vita e creare caos tutt'attorno.
Così il classico giorno tranquillo prima della partenza, diventa un giorno al cardiopalma e frenetico.
Il Butterfly effect, scatenato dalla sgommata del camioncino di Natural High con le nostre biciclette a noleggio trasportate a Queenstown, produce il prurito nei clienti di Simone.
In tre fanno quella chiamata che Simone aspetta da settimane, proprio alla vigilia.
Ed ecco la frenesia di lavorare fino all'ultimo secondo, prendere tutto ciò che è stato preparato fino a quel momento, e saltare le scale a due a due (poi tornare indietro e rifarle a tre a tre perché dispari, Aldo docet) carico come uno yak nepalese, per raggiungere Alessandro e genitori nella via sotto casa.
Per non parlare dei tre giorni prima, con andata e ritorno da Abu Dhabi.
Per non parlare della vigilia di Alessandro, con tanto di cambio di vita (non con un click ma con coraggio e passione), adios alle brioche, tre mesi a Girona a aggiustare biciclette e a studiare spagnolo con gran finale, il Camino di Santiago.
Ma è normale, un viaggio così, e soprattutto la nostra attesa ed aspettative attorno, sono talmente colme di sentimento, da essere un magnete potentissimo.
La chiamano legge dell'attrazione, il segreto, forza di volontà, il pensiero piega il ferro (non Tiziano), chiamatela come volete.
E poi, non appena salutiamo Laura e Paolo, e mettiamo piede sulle piastrelle fredde di Malpensa, tutto cambia aspetto.
Surreale.
La realtà rimane a casa, non c'è spazio per cose sensate e banali.
Ogni cinque minuti, la mia mano si muove da sola e tira coppini a tradimento sulla pelata mai così splendente di Alessandro (POTA MA.. LA NUOVA ZELANDA !!!).
Così, per vedere se si sveglia ed è un sogno.
L'ennesimo che facciamo ormai da un anno a questa parte.
Niente, Alessandro si gratta la pelata, a volte ride, a volte impreca. Ma non si sveglia.
È tutto vero.
Dopo la cena al MC Donald più disorganizzato al mondo, passiamo i controlli in scioltezza, nonostante il baffo da narcotrafficanti (pota ma CHE BAFFO!) e ci imbarchiamo sul primo di mille voli.
Speriamo non Pindarici. Il sole vogliamo toccarlo, ma le nostre ali non sono di cera.
Le nostre ali saranno di lega di alluminio, gomma pneumatica ed adesivi. E non si scioglieranno. Mai.
Si scioglie invece la nostra pazienza in aereo all'ennesimo annuncio "CAPTAIN TO THE CREW" sussurrato e accelerato da sembrare il ronzio di una mosca cieca.
Interrompe ancora una volta il film che non vuole partire.
E così Alessandro cambia posto, alla ricerca di uno schermo funzionante.
Vuole guardare sette film, restare sveglio e fregare il fuso orario.
Alla pubblicità del Quatar, già dorme.
Io no, come gli altri viaggi per luoghi spettacolari, non riesco a dormire.
Non riesco e non voglio.
Almeno non su questo volo. Da Doha a Sidney, di sole 14 ore (che non è la versione tarocca e abbreviata di un noto quotidiano di finanza), ne riparliamo.
Promesso, vedrete che "CAPTAIN TO THE CREW, CAPTAIN TO CREWNZHDBXJNZBZ JFJFJCKFNJCBBzcczxxzcsgdvhdndjxndkxn"
Voleranno, voleremo in fretta.
.LIVE FOR REAL -
La nostra ADVENTURE CHALLENGE
ELLE ERRE. È il logo che portiamo con orgoglio in Nuova Zelanda. La E gaillo fluo che ci ricorda l'EEEssenza, l'EEEntusiasmo e l'EEEuforia che non possono non proteggerci come un'aura di buon umore di fronte a qualsiasi difficoltà. INSCALFIBILI. Anzi, EEEnscalfibili, EEEmbattibili. L' EMBATIDO Alejandro Valverde, mai domo.
ELLE ERRE, L R, LIVE for REAL. È forse stato questa acronimo a farci vincere il loro bellissimo, anzi EEEncomiabile concorso ADVENTURE CHALLENGE.
La Nuova Zelanda in bicicletta li ha conquistati, con tutta la storia che ci sta dietro e che dura da ormai 15 anni.
Come tante storie, anche questa è troppo lunga da raccontare.
Specialmente in un post. Incontrateci e ve la raccontiamo volentieri. Davanti ad una Guinnes fermentante. Anche quattro o cinque (Ve l'abbiamo detto che è una storia lunga)
Prima e insieme a noi hanno vinto l'Adventure challenge FIOR FIORI di Viaggiatori, Sognatori e Sportivi.
Sportivi veri come piace a noi, quasi alchimisti, che sfruttano la legge più vecchia al mondo, Panta Rei, e trasformano la loro fatica e i loro sacrifici in energia e good vibes.
Lo fa Sabrina Schillaci con i suoi viaggi per aiutare chi purtroppo certi viaggi non può affrontarli, ma li vive proprio grazie a Sabrina, grazie al suo sorriso instancabile, che abbiamo conosciuto qualche mese fa, proprio GRAZIE a Elle Erre.
Lo fa il nostro amico Zando, rientrato in patria bergamasca da poco, dopo aver viaggiato in bicicletta per mezza Europa e Asia..
Lo chiamiamo amico, e lo crediamo davvero, ma non ci siamo ancora visti di persona. Per ora.
Il viaggio in bicicletta è talmente personale e intimo, che crea amicizia e stima anche a migliaia di miglia di distanza, dietro uno schermo opaco per la batteria quasi esaurita nonostante la modalità risparmio energetico estremo.
Sono sufficienti dieci minuti raccontando dell'ennesima foratura, della malinconia di casa che svanisce nell'ennesimo orizzonte incredibile, della fame che non passa nella giornata infinita e al tempo stesso esserne entusiasti al punto che ne senti quasi la dipendenza dalla sua semplicità ed essenzialità.
Sono sufficienti dieci minuti. Dieci minuti. Effettivi. Perché tra la rete più rara di una bella notizia al TG uno e il fuso orario ballerino, dieci minuti di conversazione possono durare giorni.
Per noi l'ADVENTURE CHALLENGE di ELLE ERRE è questo, prima ancora che il bellissimo sponsor e gli accessori giallo fluo.
Essere entrati, forse immeritatamente, in una nicchia di sognatori, ognuno con sogni completamente diversi ma con un comun denominatore che azzera le diversità, annulla le frazioni e rende tutti entusiasti allo stesso identico modo, è un regalo pazzesco, forse immeritato.
ELLE ERRE, LIVE for REAL. Per i prossimi 18 giorni lo faremo senz'altro, con la E giallo fluo, sempre presente ma evidente e lampante solo quando la luce si offusca, per ricordarci proprio nei momenti più bui, quanto siamo dannatamente, anzi EEEstremamente FORTUNATI.
LIVE for REAL... KIWI WE'RE COMING!
#pedalandonellaterradeikiwi
#nuivazelandainbicicletta
#elleerre
#adventurechallenge
#letourdeforcecycling
La nostra ADVENTURE CHALLENGE
ELLE ERRE. È il logo che portiamo con orgoglio in Nuova Zelanda. La E gaillo fluo che ci ricorda l'EEEssenza, l'EEEntusiasmo e l'EEEuforia che non possono non proteggerci come un'aura di buon umore di fronte a qualsiasi difficoltà. INSCALFIBILI. Anzi, EEEnscalfibili, EEEmbattibili. L' EMBATIDO Alejandro Valverde, mai domo.
ELLE ERRE, L R, LIVE for REAL. È forse stato questa acronimo a farci vincere il loro bellissimo, anzi EEEncomiabile concorso ADVENTURE CHALLENGE.
La Nuova Zelanda in bicicletta li ha conquistati, con tutta la storia che ci sta dietro e che dura da ormai 15 anni.
Come tante storie, anche questa è troppo lunga da raccontare.
Specialmente in un post. Incontrateci e ve la raccontiamo volentieri. Davanti ad una Guinnes fermentante. Anche quattro o cinque (Ve l'abbiamo detto che è una storia lunga)
Prima e insieme a noi hanno vinto l'Adventure challenge FIOR FIORI di Viaggiatori, Sognatori e Sportivi.
Sportivi veri come piace a noi, quasi alchimisti, che sfruttano la legge più vecchia al mondo, Panta Rei, e trasformano la loro fatica e i loro sacrifici in energia e good vibes.
Lo fa Sabrina Schillaci con i suoi viaggi per aiutare chi purtroppo certi viaggi non può affrontarli, ma li vive proprio grazie a Sabrina, grazie al suo sorriso instancabile, che abbiamo conosciuto qualche mese fa, proprio GRAZIE a Elle Erre.
Lo fa il nostro amico Zando, rientrato in patria bergamasca da poco, dopo aver viaggiato in bicicletta per mezza Europa e Asia..
Lo chiamiamo amico, e lo crediamo davvero, ma non ci siamo ancora visti di persona. Per ora.
Il viaggio in bicicletta è talmente personale e intimo, che crea amicizia e stima anche a migliaia di miglia di distanza, dietro uno schermo opaco per la batteria quasi esaurita nonostante la modalità risparmio energetico estremo.
Sono sufficienti dieci minuti raccontando dell'ennesima foratura, della malinconia di casa che svanisce nell'ennesimo orizzonte incredibile, della fame che non passa nella giornata infinita e al tempo stesso esserne entusiasti al punto che ne senti quasi la dipendenza dalla sua semplicità ed essenzialità.
Sono sufficienti dieci minuti. Dieci minuti. Effettivi. Perché tra la rete più rara di una bella notizia al TG uno e il fuso orario ballerino, dieci minuti di conversazione possono durare giorni.
Per noi l'ADVENTURE CHALLENGE di ELLE ERRE è questo, prima ancora che il bellissimo sponsor e gli accessori giallo fluo.
Essere entrati, forse immeritatamente, in una nicchia di sognatori, ognuno con sogni completamente diversi ma con un comun denominatore che azzera le diversità, annulla le frazioni e rende tutti entusiasti allo stesso identico modo, è un regalo pazzesco, forse immeritato.
ELLE ERRE, LIVE for REAL. Per i prossimi 18 giorni lo faremo senz'altro, con la E giallo fluo, sempre presente ma evidente e lampante solo quando la luce si offusca, per ricordarci proprio nei momenti più bui, quanto siamo dannatamente, anzi EEEstremamente FORTUNATI.
LIVE for REAL... KIWI WE'RE COMING!
#pedalandonellaterradeikiwi
#nuivazelandainbicicletta
#elleerre
#adventurechallenge
#letourdeforcecycling
UNA SECONDA CHANCE
Queenstown - Moke Lake - Queenstown
39 km - 900 mt up
OGGI NIENTE È ANDATO COME DOVEVA ANDARE. PER FORTUNA.
È importante sfruttare a pieno quelle cose che non ti aspetti e che non hai programmato.
Guardare in faccia sfortuna, misunderstanding o qualsiasi cosa che sembra essere andata storta, fare un sorriso e vederla per quello che realmente è: una seconda chance.
Oggi è iniziato ufficialmente il nostro viaggio in Nuova Zelanda. Anche se già ieri, QUEENSTOWN ci ha accolto con una marea di gente, in preparazione per la maratona, e con una vitalità impressionante.
Oggi doveva essere il giorno di MILFORD SOUND, uno dei luoghi più magnetici al mondo, dove la forza attrattiva è tutto frutto di Madre Natura. Insomma, è uno di quei luoghi che non possiamo perderci. Per nulla al mondo.
E invece ce lo siamo PERSI. Per lo meno il pullman del tour, che ha deciso di lasciarci a piedi e a bocca aperta.
"The bus left already".
"Ah".
Apparentemente ieri ci hanno mandato una mail annunciando l'anticipo della partenza. E chi ha guardato la mail il giorno del viaggio?!
E pensare che stamattina eravamo pure in anticipo, tanto di godere del croissant con jam a parte e del pa' a chocolat della miglior Bakery di Queenstown.
E poi un "quasi" litigio con la signorina del tour-operator che di chiedere scusa o di trovare un'alternativa proprio non se la sente.
Ma, arrabbiatura e delusione iniziale a parte, abbiamo guardato quell'inizio di giornata sconvolgente con il sorriso e abbiamo visto una SECONDA CHANCE.
Al telefono con una collega, ci viene proposto di godere dell'immensità senza limiti dei fiordi di MILFORD l'indomani.
Stesso tour, stessa magia.
Accettiamo, facendo slittare la partenza del giro vero e proprio in bicicletta di un giorno.
E la seconda chance, diventa un giorno semplicemente SPLENDIDO.
Ritiriamo in anticipo le nostre Surley.
Ci presentiamo, piacere Simone, piacere Alessandro.
Controlliamo la carrozzeria ed è subito amore a prima vista.
Forse la dimensione non è perfetta (ma dicono che in amore le dimensioni non contino, dicono), forse sono un bel po' usate (ma dicono che l'esperienza paghi) e soprattutto hanno un non so che di eroico.
La mia, colore bordeaux, quella di Ale, verdone. Entrambe semplici, lineari e soprattutto dall'aspetto cazzuto.
E dovranno esserlo!
Chiediamo all'ostello cosa ci consigliano per il primo appuntamento. "Somewhere not too far, beatiful and real New Zelandish"
Sembrano non saperlo e ci consigliano la stessa strada che già faremo dopo domani.
Consci che è la giornata delle seconde opportunità, chiediamo ad un altro ragazzo, "Please, almeno tu.."
"Of course, try MOKE LAKE"
MOKELA verrebbe da dire, cioè smettila, piantala, non prenderci in giro, in bergamasco.
Eppure, BAM.
La seconda opportunità oggi è una sentenza.
Non c'è un solo secondo di questi 40 km di "ambientamento", che non ci facciano dire MA CHE POSTO.
Pedaliamo sulla sponda destra del LAKE WAKATIPO, con due tre saliscendi ripidissimi, ci lasciamo alle spalle le casette bianche e vetrose di Queenstown, arroccate a guardia del loro angolo di paradiso infernale (è la città degli sport estremi).
Sotto di noi, quasi a strapiombo, uno specchio d'cqua cristallina, da non sembrare un lago. Per lo meno non un lago italiano.
Le pendenze sono pazze e cambiano in continuazione. Non ci annoieremo. E già ci rendiamo conto, che quando avremo il nostro guscio di lumaca sul portapacchi, sarà un calvario. NON VEDIAMO L'ORA.
Eppure le pendenze non sono la cosa più pazza di questo antipasto di Nuova Zelanda. E nemmeno gli sportivi, che qua vengono in migliaia per lanciarsi nel vuoto, proprio dove è nato il bunjee jumping.
No, la cosa più pazza della Nuova Zelanda è il METEO. CRAZY.
Ce lo avevano anticipato, ma provarlo sulla propria pelle e sui propri vestiti da cambiare in continuazione, è un'altra roba. Sembriamo una sfilata di moda errante.
Anche perché per ringraziare ROSTI, LAS HELMET, OUTWET, BERTONI EYEWEAR, ELLE ERRE e FALCO ADVANCED NUTRITION, ci mettiamo in posa insieme a 7.000 pecore e 3.000 mucche, e facciamo un book fotografico WILD.
Ma torniamo al meteo.
Il meteo in Nuova Zelanda cambia più rapidamente che il Palermo allenatore.
Ogni 5 minuti (a dir tanto) il cielo cambia tonalità, aspetto e contenuto. Pioggerellina, solleone, pioggia, nuvolo, pioggia a catinelle, sole timido. NON CI ANNOIEREMO.
E anche qui è questione di seconda chance.
Inizia a diluviare? Abbi pazienza, il sole non tarderà ad arrivare.
La salita verso MOKE LAKE, apre una scenario a dir poco rurale e intriso di serenità.
L'asfalto diventa gravel, la ghiaia diventa prato. Facciamo il periplo del lago Moke e ci sentiamo profondamente in NUOVA ZELANDA.
Sarà per le nuvole velocissime, sarà per tantissime cime verdi e arcigne fatte di scisti e argilliti durissime, sarà per il vento a folate decise, sarà per la colonna sonora costante fatta di belati più o meno possenti, di PECORELLE pelosissime (sembra indossino pure una berretta) o di agnellini alla scoperta del mondo. E che mondo.
Sarà anche per il saluto cordialissimo di "tutti" quelli che incontri.
Che sia sul sentiero attorno al lago, alla Bakery o in ostello.
A parte la ragazza dell' "attaccatevi al tram. Ah no, è già partito", tutti gli altri sono di una cordialità e di una felicità disarmante.
D'altronde, tutti qua sanno IN CHE CAVOLO DI POSTO SIAMO. E la gioia è più bella se condivisa. Anche solo per un istante, anche con sconosciuti.
Un sorriso che ci ha colpito oggi, è l'inno alla seconda chance. Due chiacchiere colme di entusiasmo con un ciclista di Dunedin, senza metà braccio. Eppure, dalle sue parole e dal senso di completezza e serenità nei suoi occhi non si direbbe.
Se l'aspetti, la seconda chance arriva. Sempre. E si può godere di posti così.
Semplicemente pazzi.
Pazzi come la Nuova Zelanda! Ed è solo il primissimo appuntamento, quello timido e trattenuto. CRAZY.
Queenstown - Moke Lake - Queenstown
39 km - 900 mt up
OGGI NIENTE È ANDATO COME DOVEVA ANDARE. PER FORTUNA.
È importante sfruttare a pieno quelle cose che non ti aspetti e che non hai programmato.
Guardare in faccia sfortuna, misunderstanding o qualsiasi cosa che sembra essere andata storta, fare un sorriso e vederla per quello che realmente è: una seconda chance.
Oggi è iniziato ufficialmente il nostro viaggio in Nuova Zelanda. Anche se già ieri, QUEENSTOWN ci ha accolto con una marea di gente, in preparazione per la maratona, e con una vitalità impressionante.
Oggi doveva essere il giorno di MILFORD SOUND, uno dei luoghi più magnetici al mondo, dove la forza attrattiva è tutto frutto di Madre Natura. Insomma, è uno di quei luoghi che non possiamo perderci. Per nulla al mondo.
E invece ce lo siamo PERSI. Per lo meno il pullman del tour, che ha deciso di lasciarci a piedi e a bocca aperta.
"The bus left already".
"Ah".
Apparentemente ieri ci hanno mandato una mail annunciando l'anticipo della partenza. E chi ha guardato la mail il giorno del viaggio?!
E pensare che stamattina eravamo pure in anticipo, tanto di godere del croissant con jam a parte e del pa' a chocolat della miglior Bakery di Queenstown.
E poi un "quasi" litigio con la signorina del tour-operator che di chiedere scusa o di trovare un'alternativa proprio non se la sente.
Ma, arrabbiatura e delusione iniziale a parte, abbiamo guardato quell'inizio di giornata sconvolgente con il sorriso e abbiamo visto una SECONDA CHANCE.
Al telefono con una collega, ci viene proposto di godere dell'immensità senza limiti dei fiordi di MILFORD l'indomani.
Stesso tour, stessa magia.
Accettiamo, facendo slittare la partenza del giro vero e proprio in bicicletta di un giorno.
E la seconda chance, diventa un giorno semplicemente SPLENDIDO.
Ritiriamo in anticipo le nostre Surley.
Ci presentiamo, piacere Simone, piacere Alessandro.
Controlliamo la carrozzeria ed è subito amore a prima vista.
Forse la dimensione non è perfetta (ma dicono che in amore le dimensioni non contino, dicono), forse sono un bel po' usate (ma dicono che l'esperienza paghi) e soprattutto hanno un non so che di eroico.
La mia, colore bordeaux, quella di Ale, verdone. Entrambe semplici, lineari e soprattutto dall'aspetto cazzuto.
E dovranno esserlo!
Chiediamo all'ostello cosa ci consigliano per il primo appuntamento. "Somewhere not too far, beatiful and real New Zelandish"
Sembrano non saperlo e ci consigliano la stessa strada che già faremo dopo domani.
Consci che è la giornata delle seconde opportunità, chiediamo ad un altro ragazzo, "Please, almeno tu.."
"Of course, try MOKE LAKE"
MOKELA verrebbe da dire, cioè smettila, piantala, non prenderci in giro, in bergamasco.
Eppure, BAM.
La seconda opportunità oggi è una sentenza.
Non c'è un solo secondo di questi 40 km di "ambientamento", che non ci facciano dire MA CHE POSTO.
Pedaliamo sulla sponda destra del LAKE WAKATIPO, con due tre saliscendi ripidissimi, ci lasciamo alle spalle le casette bianche e vetrose di Queenstown, arroccate a guardia del loro angolo di paradiso infernale (è la città degli sport estremi).
Sotto di noi, quasi a strapiombo, uno specchio d'cqua cristallina, da non sembrare un lago. Per lo meno non un lago italiano.
Le pendenze sono pazze e cambiano in continuazione. Non ci annoieremo. E già ci rendiamo conto, che quando avremo il nostro guscio di lumaca sul portapacchi, sarà un calvario. NON VEDIAMO L'ORA.
Eppure le pendenze non sono la cosa più pazza di questo antipasto di Nuova Zelanda. E nemmeno gli sportivi, che qua vengono in migliaia per lanciarsi nel vuoto, proprio dove è nato il bunjee jumping.
No, la cosa più pazza della Nuova Zelanda è il METEO. CRAZY.
Ce lo avevano anticipato, ma provarlo sulla propria pelle e sui propri vestiti da cambiare in continuazione, è un'altra roba. Sembriamo una sfilata di moda errante.
Anche perché per ringraziare ROSTI, LAS HELMET, OUTWET, BERTONI EYEWEAR, ELLE ERRE e FALCO ADVANCED NUTRITION, ci mettiamo in posa insieme a 7.000 pecore e 3.000 mucche, e facciamo un book fotografico WILD.
Ma torniamo al meteo.
Il meteo in Nuova Zelanda cambia più rapidamente che il Palermo allenatore.
Ogni 5 minuti (a dir tanto) il cielo cambia tonalità, aspetto e contenuto. Pioggerellina, solleone, pioggia, nuvolo, pioggia a catinelle, sole timido. NON CI ANNOIEREMO.
E anche qui è questione di seconda chance.
Inizia a diluviare? Abbi pazienza, il sole non tarderà ad arrivare.
La salita verso MOKE LAKE, apre una scenario a dir poco rurale e intriso di serenità.
L'asfalto diventa gravel, la ghiaia diventa prato. Facciamo il periplo del lago Moke e ci sentiamo profondamente in NUOVA ZELANDA.
Sarà per le nuvole velocissime, sarà per tantissime cime verdi e arcigne fatte di scisti e argilliti durissime, sarà per il vento a folate decise, sarà per la colonna sonora costante fatta di belati più o meno possenti, di PECORELLE pelosissime (sembra indossino pure una berretta) o di agnellini alla scoperta del mondo. E che mondo.
Sarà anche per il saluto cordialissimo di "tutti" quelli che incontri.
Che sia sul sentiero attorno al lago, alla Bakery o in ostello.
A parte la ragazza dell' "attaccatevi al tram. Ah no, è già partito", tutti gli altri sono di una cordialità e di una felicità disarmante.
D'altronde, tutti qua sanno IN CHE CAVOLO DI POSTO SIAMO. E la gioia è più bella se condivisa. Anche solo per un istante, anche con sconosciuti.
Un sorriso che ci ha colpito oggi, è l'inno alla seconda chance. Due chiacchiere colme di entusiasmo con un ciclista di Dunedin, senza metà braccio. Eppure, dalle sue parole e dal senso di completezza e serenità nei suoi occhi non si direbbe.
Se l'aspetti, la seconda chance arriva. Sempre. E si può godere di posti così.
Semplicemente pazzi.
Pazzi come la Nuova Zelanda! Ed è solo il primissimo appuntamento, quello timido e trattenuto. CRAZY.
CHIUDILA
E CHIUDILA quella cerniera, che prendi freddo.
Ma sì mamma, ci sono sessanta gradi.
Il giorno dopo, 40 di febbre.
E CHIUDILA quella cerniera, che perdi le robe dalle tasche.
Ma sì mamma, sono profonde.
Il giorno dopo, dai carabinieri a denunciare tutti i documenti.
Ora la chiudiamo la cerniera della nostra giacca ROSTI.
C'è l'ha regalata GIOVANNI, perché dice di aver letto che la Nuova Zelanda è uno dei posti più ventosi al mondo.
Dice anche di aver letto che la sua giacca è la più resistente al vento al mondo.
Sì beh, quello l'ha scritto lui. Però ci crediamo, anzi l'abbiamo già testata e confermiamo! (Prego Giovanni)
Però perché la giacca di Giovanni funzioni, bisogna ascoltare la mamma.
La mamma ha sempre ragione, anche a "18.000" km di distanza.
E noi stavolta la cerniera la chiudiamo.
Per due motivi.
Per proteggerci dal vento e per non perdere tutto ciò che guadagneremo e che stiamo guadagnando in questo Viaggio.
Di certo non soldi e neanche posizioni a lavoro.
Ma qualcosa di molto più prezioso. Noi stessi, dentro quella cerniera che tiene al riparo corpo e anima.
Anima nera? Sì, ma non quella alla liquirizia.
Anima nera alla ALL BLACKS, alla Haka che intimorisce gli avversari.
La Haka che ricorda all'avversario più temuto di tutti, la morte, che i Maori non la temono, perché vivono ogni centimetro di campo, ogni soffio di istante.
E chissà se anche le mamme Maori pronunciano la fatidica frase:
E CHIUDILA QUELLA CERNIERA!
E CHIUDILA quella cerniera, che prendi freddo.
Ma sì mamma, ci sono sessanta gradi.
Il giorno dopo, 40 di febbre.
E CHIUDILA quella cerniera, che perdi le robe dalle tasche.
Ma sì mamma, sono profonde.
Il giorno dopo, dai carabinieri a denunciare tutti i documenti.
Ora la chiudiamo la cerniera della nostra giacca ROSTI.
C'è l'ha regalata GIOVANNI, perché dice di aver letto che la Nuova Zelanda è uno dei posti più ventosi al mondo.
Dice anche di aver letto che la sua giacca è la più resistente al vento al mondo.
Sì beh, quello l'ha scritto lui. Però ci crediamo, anzi l'abbiamo già testata e confermiamo! (Prego Giovanni)
Però perché la giacca di Giovanni funzioni, bisogna ascoltare la mamma.
La mamma ha sempre ragione, anche a "18.000" km di distanza.
E noi stavolta la cerniera la chiudiamo.
Per due motivi.
Per proteggerci dal vento e per non perdere tutto ciò che guadagneremo e che stiamo guadagnando in questo Viaggio.
Di certo non soldi e neanche posizioni a lavoro.
Ma qualcosa di molto più prezioso. Noi stessi, dentro quella cerniera che tiene al riparo corpo e anima.
Anima nera? Sì, ma non quella alla liquirizia.
Anima nera alla ALL BLACKS, alla Haka che intimorisce gli avversari.
La Haka che ricorda all'avversario più temuto di tutti, la morte, che i Maori non la temono, perché vivono ogni centimetro di campo, ogni soffio di istante.
E chissà se anche le mamme Maori pronunciano la fatidica frase:
E CHIUDILA QUELLA CERNIERA!
PIPIOTAHI. PELLE D'OCA.
Ci svegliamo con una prima sorpresa: NEVE.
A casa? Anche. Ancora in fase REM, scopriamo quanta neve ci sia già al Pora.
Qua in Nuova Zelanda invece è Estate. Dovrebbe.
Usciamo dall'ostello Haka e le montagne appena sopra la nostra testa sono tutte bianche. AH.
Oggi però è il giorno di MILFORD Sound, PIPIOTAHI per i locals.
Oggi dev'esserlo per forza. Per non rischiare ci presentiamo con un'ora di anticipo. È sufficiente, NAILED IT.
Il viaggio fino a Te Anau scorre rapido, grazie al sottofondo culturale del nostro autista/guida Ben.
Strada a curve plasmata sulla forma del lago, ghiacciai, massi erratici, muschi, cespugli spinosi, allevamenti di cervi e cerbiatti, mucche bianconere che fanno il latte per gli Oreo, pesca a mosca, e paesaggi verde brillante. Sembra l'Irlanda. E infatti c'è pure un arcobaleno che fa capolino su Kingston (fortunati i pochi abitanti, avranno le pentole piene d'oro).
E ovviamente, ovunque guardiamo, a sinistra, a destra e pure sul tetto finestrato, ci sono pecore, pecore e ancora pecore.
Ah e pecore.
Dopo una sosta a Te Anau, condita da browney e muffin, le cose si fanno serie.
Oggi il meteo non è variabile con up and down e sbalzi di umore. Oggi l'umore (del meteo, non il nostro) è costantemente uggioso e triste.
Forse perché è contrariato che siamo seduti comodi su sedili vellutati e soprattutto asciutti (solo all'andata).
Siamo sicuri che domani il meteo sarà felice come una Pasqua (anzi come un Natale che è più a tema) e farà caldissimo (tocchiamo ferro).
Da Te Anau, lo scenario cambia completamente, la tonalità pure.
Rocce nere, venature e chiazze della vegetazione di colore verdone fradicio in stile highlander che non mollano la presa e rivoli bianchissimi d'acqua che rendono dinamica e addolciscono anche la parete più verticale e ardua.
E sopra di loro, ogni tanto fa capolino qualche cono innevato e sfumato da nebbie velate e intoccabili. Zucchero filato.
E la cosa più incredibile è che non si tratta di una visione unica, ma a 360°C, ovunque siamo circondati e allo stesso tempo chiusi da montagne, foreste e cascate che perfino annebbiate sono tra gli scenari più imponenti e vitali che abbiamo mai visto.
Se si chiudono gli occhi dietro ai nostri occhiali BERTONI fotocromatici (perfetti qui) e si dimentica per un secondo di essere su un pullman pieno di "foreigners" e di un paio di kiwi, sembra di essere tornati all'origine dei tempi.
Nessun uomo, nessun tetto, nessun cartello; solo natura, vita e pappagalli alpini, i KEAs.
Un piccolo esemplare, per gli amici Alpy, ci aspetta a bordo strada, con le sue ali verdone come il paesaggio e ci indica il TUNNEL HOMER scavato dai Maori, ripidissimo e stretto.
Al di là, uno stralcio di Stelvio Nero Zelandese.
Tra una cascata possente on the left e altre cinque sottili come lame on the right, metri e metri di foresta incontaminata.
Talmente incontaminata e fitta di tronchi, arbusti pelosissimi e felci da fare venire il mal di testa a guardarla scorrere a sessanta all'ora.
Talmente incontaminata e fitta da sembrare una giungla.
E non a caso, così piace pensare a noi, Rudyard Kipling, autore del libro della giungla, ha nominato MILFORD Sound l'ottava MERAVIGLIA al Mondo.
Dopo qualche tornante e qualche picchiata nero lucente, la giungla si spalanca e ci apre la vista e il mondo a MILFORD SOUND, in lingua nativa PIPIOTAHI.
Il nome suona EROTICO, e se lo merita tutto.
Ma gli impulsi sono nella parte alta del corpo.
Il cervello manda segnali nervosi alle palpebre che si spalancano in un nano secondo.
Un orgasmo che scalda l'anima. Per fortuna perché fa freddo e la neve è arrivata a 800 metri, a vista sopra di noi.
La crociera è splendida nonostante due piccoli e sorvolabili difetti.
La nebbiolina costante che però rende ancora più mistica l'atmosfera già surreale.
E quella sensazione di non esserci meritati appieno questo tick della nostra personale wish-list, non avendo pedalato un metro..
Eppure, stai tranquilla Nuova Zelanda, da domani recuperiamo. Con gli interessi.
È una promessa. Come la Terra. Quella che abbiamo scoperto oggi.
Sulla crociera ci sentiamo piccolissimi, circondati da coni di roccia e foresta, ognuna con le proprie cascate e rivoli d" acqua, oggi talmente tanti da sembrare strati di calcite bianca cristallina.
Il captain di chiara origine MAORI fa manovra a due centimetri dalle cascate più potenti, noi sicuri con il giallo fluo ELLE ERRE indosso, non battiamo ciglio e ci godiamo l'occhio di ogni cascata.
Occhio fradicio ma colmo di sorpresa.
È difficile esprimere a parole quella sensazione che compare poche volte nella vita.
Ti guardi attorno e sei stupito da tanta bellezza, fino a quel click che colpisce nel profondo.
Click. E ti rendi conto di essere in uno dei posti più belli che vedrai, anzi che vivrai, nella tua vita.
Ecco forse perché si chiama Milford SOUND (anche se in realtà morfologicamente parlando sarebbe un fiordo e non un "sound", perché di origine glaciale e non fluviale).
Quel sound è il CLICK che sveglia in un colpo solo tutti i sensi.
Così come lo fanno il vento, il freddo e le mutande bagnate. PELLE D'OCA.
E qualche oca, o meglio papera dalla testa bianca, la vediamo pure. Così come una decina di foche rilassate su uno scoglio e un paio di pinguini che cercano respiro up and down dall'acqua gelida e densissima.
Per chiudere il cerchio della tematica bio e ecologica, visitiamo anche l'osservatorio sub-acqueo, con vista a -8 metri dalla superficie cresposa e agitata del Tasmania sea.
Quello di fronte ai nostri occhi è un ecosistema tipico di acqua profonda, risultato di una rara commistione di fattori geo e morfologici.
Cerchiamo il pesce rosso ALFONSINO, senza successo.
Il ritorno in pullman a Queenstown è freddo e bagnato, ma fortunatamente la maglia della salute OUTWET pensa alla nostra di salute e ci tiene al caldo.
Sonnecchiando e superando gli ultimi rimasugli del fuso italiano, ripenso al corallo nero, anche se esternamente bianco, che abbiamo ammirato sott'acqua. È una specie protettissima e cresce come piace a noi e come dovremo fare da domani (considerando neve, strade ripide e meteo più ballerino di Roberto Bolle).
Il corallo nero Neozelandese cresce
2 cm all'anno.. Beh noi speriamo qualcosina di più, ma il passo è pur sempre quello.
LENT MA SEGUENT.
P.s. Ora un hamburger da Ferg, spaziale, non ce lo leva nessuno. For me one HAMBURGER SWEET BAMBI al cerbiatto locale (scusa Disney !)
Ci svegliamo con una prima sorpresa: NEVE.
A casa? Anche. Ancora in fase REM, scopriamo quanta neve ci sia già al Pora.
Qua in Nuova Zelanda invece è Estate. Dovrebbe.
Usciamo dall'ostello Haka e le montagne appena sopra la nostra testa sono tutte bianche. AH.
Oggi però è il giorno di MILFORD Sound, PIPIOTAHI per i locals.
Oggi dev'esserlo per forza. Per non rischiare ci presentiamo con un'ora di anticipo. È sufficiente, NAILED IT.
Il viaggio fino a Te Anau scorre rapido, grazie al sottofondo culturale del nostro autista/guida Ben.
Strada a curve plasmata sulla forma del lago, ghiacciai, massi erratici, muschi, cespugli spinosi, allevamenti di cervi e cerbiatti, mucche bianconere che fanno il latte per gli Oreo, pesca a mosca, e paesaggi verde brillante. Sembra l'Irlanda. E infatti c'è pure un arcobaleno che fa capolino su Kingston (fortunati i pochi abitanti, avranno le pentole piene d'oro).
E ovviamente, ovunque guardiamo, a sinistra, a destra e pure sul tetto finestrato, ci sono pecore, pecore e ancora pecore.
Ah e pecore.
Dopo una sosta a Te Anau, condita da browney e muffin, le cose si fanno serie.
Oggi il meteo non è variabile con up and down e sbalzi di umore. Oggi l'umore (del meteo, non il nostro) è costantemente uggioso e triste.
Forse perché è contrariato che siamo seduti comodi su sedili vellutati e soprattutto asciutti (solo all'andata).
Siamo sicuri che domani il meteo sarà felice come una Pasqua (anzi come un Natale che è più a tema) e farà caldissimo (tocchiamo ferro).
Da Te Anau, lo scenario cambia completamente, la tonalità pure.
Rocce nere, venature e chiazze della vegetazione di colore verdone fradicio in stile highlander che non mollano la presa e rivoli bianchissimi d'acqua che rendono dinamica e addolciscono anche la parete più verticale e ardua.
E sopra di loro, ogni tanto fa capolino qualche cono innevato e sfumato da nebbie velate e intoccabili. Zucchero filato.
E la cosa più incredibile è che non si tratta di una visione unica, ma a 360°C, ovunque siamo circondati e allo stesso tempo chiusi da montagne, foreste e cascate che perfino annebbiate sono tra gli scenari più imponenti e vitali che abbiamo mai visto.
Se si chiudono gli occhi dietro ai nostri occhiali BERTONI fotocromatici (perfetti qui) e si dimentica per un secondo di essere su un pullman pieno di "foreigners" e di un paio di kiwi, sembra di essere tornati all'origine dei tempi.
Nessun uomo, nessun tetto, nessun cartello; solo natura, vita e pappagalli alpini, i KEAs.
Un piccolo esemplare, per gli amici Alpy, ci aspetta a bordo strada, con le sue ali verdone come il paesaggio e ci indica il TUNNEL HOMER scavato dai Maori, ripidissimo e stretto.
Al di là, uno stralcio di Stelvio Nero Zelandese.
Tra una cascata possente on the left e altre cinque sottili come lame on the right, metri e metri di foresta incontaminata.
Talmente incontaminata e fitta di tronchi, arbusti pelosissimi e felci da fare venire il mal di testa a guardarla scorrere a sessanta all'ora.
Talmente incontaminata e fitta da sembrare una giungla.
E non a caso, così piace pensare a noi, Rudyard Kipling, autore del libro della giungla, ha nominato MILFORD Sound l'ottava MERAVIGLIA al Mondo.
Dopo qualche tornante e qualche picchiata nero lucente, la giungla si spalanca e ci apre la vista e il mondo a MILFORD SOUND, in lingua nativa PIPIOTAHI.
Il nome suona EROTICO, e se lo merita tutto.
Ma gli impulsi sono nella parte alta del corpo.
Il cervello manda segnali nervosi alle palpebre che si spalancano in un nano secondo.
Un orgasmo che scalda l'anima. Per fortuna perché fa freddo e la neve è arrivata a 800 metri, a vista sopra di noi.
La crociera è splendida nonostante due piccoli e sorvolabili difetti.
La nebbiolina costante che però rende ancora più mistica l'atmosfera già surreale.
E quella sensazione di non esserci meritati appieno questo tick della nostra personale wish-list, non avendo pedalato un metro..
Eppure, stai tranquilla Nuova Zelanda, da domani recuperiamo. Con gli interessi.
È una promessa. Come la Terra. Quella che abbiamo scoperto oggi.
Sulla crociera ci sentiamo piccolissimi, circondati da coni di roccia e foresta, ognuna con le proprie cascate e rivoli d" acqua, oggi talmente tanti da sembrare strati di calcite bianca cristallina.
Il captain di chiara origine MAORI fa manovra a due centimetri dalle cascate più potenti, noi sicuri con il giallo fluo ELLE ERRE indosso, non battiamo ciglio e ci godiamo l'occhio di ogni cascata.
Occhio fradicio ma colmo di sorpresa.
È difficile esprimere a parole quella sensazione che compare poche volte nella vita.
Ti guardi attorno e sei stupito da tanta bellezza, fino a quel click che colpisce nel profondo.
Click. E ti rendi conto di essere in uno dei posti più belli che vedrai, anzi che vivrai, nella tua vita.
Ecco forse perché si chiama Milford SOUND (anche se in realtà morfologicamente parlando sarebbe un fiordo e non un "sound", perché di origine glaciale e non fluviale).
Quel sound è il CLICK che sveglia in un colpo solo tutti i sensi.
Così come lo fanno il vento, il freddo e le mutande bagnate. PELLE D'OCA.
E qualche oca, o meglio papera dalla testa bianca, la vediamo pure. Così come una decina di foche rilassate su uno scoglio e un paio di pinguini che cercano respiro up and down dall'acqua gelida e densissima.
Per chiudere il cerchio della tematica bio e ecologica, visitiamo anche l'osservatorio sub-acqueo, con vista a -8 metri dalla superficie cresposa e agitata del Tasmania sea.
Quello di fronte ai nostri occhi è un ecosistema tipico di acqua profonda, risultato di una rara commistione di fattori geo e morfologici.
Cerchiamo il pesce rosso ALFONSINO, senza successo.
Il ritorno in pullman a Queenstown è freddo e bagnato, ma fortunatamente la maglia della salute OUTWET pensa alla nostra di salute e ci tiene al caldo.
Sonnecchiando e superando gli ultimi rimasugli del fuso italiano, ripenso al corallo nero, anche se esternamente bianco, che abbiamo ammirato sott'acqua. È una specie protettissima e cresce come piace a noi e come dovremo fare da domani (considerando neve, strade ripide e meteo più ballerino di Roberto Bolle).
Il corallo nero Neozelandese cresce
2 cm all'anno.. Beh noi speriamo qualcosina di più, ma il passo è pur sempre quello.
LENT MA SEGUENT.
P.s. Ora un hamburger da Ferg, spaziale, non ce lo leva nessuno. For me one HAMBURGER SWEET BAMBI al cerbiatto locale (scusa Disney !)
QUEENSTOWN - HAWEA LAKE
100 km - 1300 mt up
L' OPINEL
Sono molte le cose portate con noi nel nostro guscio di lumaca. 20 kg (a testa) di attrezzatura per coprirsi, mangiare e dormire.
Tenda, materassino, sacco a pelo.
Pentolino, bombole di gas, fornellino, piatti e risotti liofilizzati.
Divise personalizzate ROSTI, b fotocromatici BERTONI, intimo caldissimo (già fondamentale) OUTWET, barrette proteiche e biologiche FALCO, caschetto LAS e vestiti informali giallo fluo ELLE ERRE.
E dobbiamo ammetterlo. Girare vestiti identici è una figata. Sembriamo pure forti. Sembriamo.
E poi, oltre a queste e altre cose, c'è e c'è sempre stato l'OPINEL.
Lo porti perché è quella cosa preziosa che può tirarti fuori da molte situazioni.
E poi, quest'anno ha pure un significato in più.
Quel coltellino con l'impugnatura in legno, apparentemente semplice, qui in Nuova Zelanda non può mancare.
Quest'anno, grazie al bellissimo regalo di Bonzi e Elisa, è inciso con una bicicletta da corsa e con "le 30 primavere di Simone".
Così mi ricorda di quell'obiettivo entro i trenta (ho leggermente sforato) a cui tanto tenevo e che sto realizzando, anzi vivendo. Infatti, più che un obiettivo, sembra ed è un sogno. La Nuova Zelanda in bicicletta. E lo è anche per Alessandro, anche se è ancora giovane (😅)
L'OPINEL ha un significato profondo anche per lui. Oltre che aiutarci a tagliare brie e avocado a volontà (la specialità di oggi). L'opinel del nonno, tanto simbolico da essere tatuato pure sul braccio del nipote. Spunta, sotto la manica attillata della divisa. Anzi, in realtà spunta raramente su quest'isola perché spesso coperta dai bracciali.
È così anche oggi, almeno alla partenza.
Fa freddo, nonostante il sole e il cielo azzurro. Partiamo però entusiasti, soprattutto per la colazione a base di NUTELLA. Quella vera!
Ovviamente, il clima "mite" dura poco. Arrivati ad Arrowtown, ci viene la bellissima idea di fare le scorte per il pranzo.
Entriamo al market e splende il sole.
Siamo alla cassa a pagare p CVan bauletto e prosciutto affumicato nel legno di Manuka e diluvia. Hail storm. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno (l'altra metà era deliziosa): Beh, che culo!
Usciamo, carichiamo il cibo sulle nostre sacche, che così già iniziano a sembrare bancarelle (oggi sfoggiamo 6 banane) e la strada si verticalizza.
Si sale, verso il passo di Crown Range summit. Sembra, anzi è, SALITA VERA.
Di quelle che fai d'estate con la bici da corsa per testarti e fare fatica.
E per godere della vista serpentesca e ammaliante dei tornanti squamosi di vegetazione ai tuoi piedi. Quelli li hai domati. Guardi su, quelli devi ancora domarli. FORZA.
Oggi però, le nostre biciclette sono a trazione posteriore, ovvero, ancorate a terra per via della zavorra di 20 kg.
Alessandro capisce a pieno il significato di LENT MA SEGUENT in un viaggio del genere.
Salire a 4/5 all'ora, al limite dell'equilibrio, su pendenze del genere e così carichi, non è un disonore, anzi.
Forza, Lent ma seguent!
Scolliniamo e ci vestiamo con tutto ciò che abbiamo.
Dopo la salita, c'è la discesa. Oggi lunghissima.
Lo stomaco reclama. L'opinel rimane ad attendere nel buio della sacca.
Non vogliamo spezzare l'inerzia della discesa (meritata) e vogliamo pranzare di fronte al protagonista di oggi.
Così teniamo duro, ma pagheremo poi, con la stanchezza che non ci abbandonerà più.
Il protagonista di oggi, oltre all'opinel, è il WANAKA TREE.
Non è antipatico, non è asociale, anzi. Il WANAKA tree se ne sta tutto solo nell'acqua dell'omonimo lago (dell'omonima cittadina), per riflettere. È saggio, soffia via i pensieri nel vento instancabile.
La sua ramificazione di pace non si accorge nemmeno delle centinaia di flash e scatti dei turisti soprattutto giapponesi. E nemmeno del nostro pranzo al suo cospetto.
Al gelo.
La ripartenza infatti tarda ad arrivare, ci scaldiamo con un americano e una cioccolata calda in un café di Wanaka, che pare viva e Crazy come Queenstown (quasi).
Solo alle cinque ritorniamo in sella, giusto per salire e scendere 6/7 rettilinei e raggiungere l'altro lago, l'HAWEA LAKE.
Immensamente splendido.
La cornice delle montagne innevate e delle vette over 3000, sulla superficie tutt'altro che piatta del lago Hawea, sarà la nostra casa fino a domattina. Home sweet home.
Pe ripararci dal vento (e probabilmente dalla pioggia) la nostra tendina tre posti Camp.
Per ripararci dalla fame e dalla stanchezza, un risotto e liofilizzato agli ASPARAGI.
In onore alla vetta più imponente che abbiamo di fronte: Il monte ASPIRING.
Per tagliare il brie e farci sentire un po' a casa, ovviamente l'opinel.
Per farci da guardia durante la notte, un esercito di leprotti selvatici. Mai visti così tanti.
P.s. domani si raggiunge (si spera, perché è dura e lunga) la WEST COAST ad Haast.
La sapete l'ultima? La west COAST la chiamano WET COAST. Chissà perché.
Ma tanto siamo abituati!
100 km - 1300 mt up
L' OPINEL
Sono molte le cose portate con noi nel nostro guscio di lumaca. 20 kg (a testa) di attrezzatura per coprirsi, mangiare e dormire.
Tenda, materassino, sacco a pelo.
Pentolino, bombole di gas, fornellino, piatti e risotti liofilizzati.
Divise personalizzate ROSTI, b fotocromatici BERTONI, intimo caldissimo (già fondamentale) OUTWET, barrette proteiche e biologiche FALCO, caschetto LAS e vestiti informali giallo fluo ELLE ERRE.
E dobbiamo ammetterlo. Girare vestiti identici è una figata. Sembriamo pure forti. Sembriamo.
E poi, oltre a queste e altre cose, c'è e c'è sempre stato l'OPINEL.
Lo porti perché è quella cosa preziosa che può tirarti fuori da molte situazioni.
E poi, quest'anno ha pure un significato in più.
Quel coltellino con l'impugnatura in legno, apparentemente semplice, qui in Nuova Zelanda non può mancare.
Quest'anno, grazie al bellissimo regalo di Bonzi e Elisa, è inciso con una bicicletta da corsa e con "le 30 primavere di Simone".
Così mi ricorda di quell'obiettivo entro i trenta (ho leggermente sforato) a cui tanto tenevo e che sto realizzando, anzi vivendo. Infatti, più che un obiettivo, sembra ed è un sogno. La Nuova Zelanda in bicicletta. E lo è anche per Alessandro, anche se è ancora giovane (😅)
L'OPINEL ha un significato profondo anche per lui. Oltre che aiutarci a tagliare brie e avocado a volontà (la specialità di oggi). L'opinel del nonno, tanto simbolico da essere tatuato pure sul braccio del nipote. Spunta, sotto la manica attillata della divisa. Anzi, in realtà spunta raramente su quest'isola perché spesso coperta dai bracciali.
È così anche oggi, almeno alla partenza.
Fa freddo, nonostante il sole e il cielo azzurro. Partiamo però entusiasti, soprattutto per la colazione a base di NUTELLA. Quella vera!
Ovviamente, il clima "mite" dura poco. Arrivati ad Arrowtown, ci viene la bellissima idea di fare le scorte per il pranzo.
Entriamo al market e splende il sole.
Siamo alla cassa a pagare p CVan bauletto e prosciutto affumicato nel legno di Manuka e diluvia. Hail storm. Guardiamo il bicchiere mezzo pieno (l'altra metà era deliziosa): Beh, che culo!
Usciamo, carichiamo il cibo sulle nostre sacche, che così già iniziano a sembrare bancarelle (oggi sfoggiamo 6 banane) e la strada si verticalizza.
Si sale, verso il passo di Crown Range summit. Sembra, anzi è, SALITA VERA.
Di quelle che fai d'estate con la bici da corsa per testarti e fare fatica.
E per godere della vista serpentesca e ammaliante dei tornanti squamosi di vegetazione ai tuoi piedi. Quelli li hai domati. Guardi su, quelli devi ancora domarli. FORZA.
Oggi però, le nostre biciclette sono a trazione posteriore, ovvero, ancorate a terra per via della zavorra di 20 kg.
Alessandro capisce a pieno il significato di LENT MA SEGUENT in un viaggio del genere.
Salire a 4/5 all'ora, al limite dell'equilibrio, su pendenze del genere e così carichi, non è un disonore, anzi.
Forza, Lent ma seguent!
Scolliniamo e ci vestiamo con tutto ciò che abbiamo.
Dopo la salita, c'è la discesa. Oggi lunghissima.
Lo stomaco reclama. L'opinel rimane ad attendere nel buio della sacca.
Non vogliamo spezzare l'inerzia della discesa (meritata) e vogliamo pranzare di fronte al protagonista di oggi.
Così teniamo duro, ma pagheremo poi, con la stanchezza che non ci abbandonerà più.
Il protagonista di oggi, oltre all'opinel, è il WANAKA TREE.
Non è antipatico, non è asociale, anzi. Il WANAKA tree se ne sta tutto solo nell'acqua dell'omonimo lago (dell'omonima cittadina), per riflettere. È saggio, soffia via i pensieri nel vento instancabile.
La sua ramificazione di pace non si accorge nemmeno delle centinaia di flash e scatti dei turisti soprattutto giapponesi. E nemmeno del nostro pranzo al suo cospetto.
Al gelo.
La ripartenza infatti tarda ad arrivare, ci scaldiamo con un americano e una cioccolata calda in un café di Wanaka, che pare viva e Crazy come Queenstown (quasi).
Solo alle cinque ritorniamo in sella, giusto per salire e scendere 6/7 rettilinei e raggiungere l'altro lago, l'HAWEA LAKE.
Immensamente splendido.
La cornice delle montagne innevate e delle vette over 3000, sulla superficie tutt'altro che piatta del lago Hawea, sarà la nostra casa fino a domattina. Home sweet home.
Pe ripararci dal vento (e probabilmente dalla pioggia) la nostra tendina tre posti Camp.
Per ripararci dalla fame e dalla stanchezza, un risotto e liofilizzato agli ASPARAGI.
In onore alla vetta più imponente che abbiamo di fronte: Il monte ASPIRING.
Per tagliare il brie e farci sentire un po' a casa, ovviamente l'opinel.
Per farci da guardia durante la notte, un esercito di leprotti selvatici. Mai visti così tanti.
P.s. domani si raggiunge (si spera, perché è dura e lunga) la WEST COAST ad Haast.
La sapete l'ultima? La west COAST la chiamano WET COAST. Chissà perché.
Ma tanto siamo abituati!
HAWEA LAKE - ABSURD RAIN AT RANDOM POINT
30 Km - 500 mt up
IL CIELO D'IRLANDA
Il cielo d'Irlanda, avete letto giusto. Proprio come canta la Mannoia.
Siamo in Nuova Zelanda, lo sappiamo. Il vento e il freddo della prima notte in tenda non ci hanno ammattiti e fatto perdere il senso della posizione.
Anzi, con materassino insulated e un bel po' di strati indosso, ce la siamo cavata egregiamente.
Perfino la mattina, al primo smontaggio tenda.
Sveglia ore sei e nessun istante perso.
Qualche automatismo da oliare e sistemare, ma il gioco di squadra dà già i suoi frutti.
Alle otto siamo in sella, colazione a base di NUTELLA (quella vera) fatta.
Indossiamo praticamente tutto ciò che possiamo e ci sentiamo ermetici.
In gergo tecnico, siamo grado di protezione IP 65, impermeabili a spruzzi d'acqua.
A spruzzi d'acqua, non a secchiate.
E così, dopo la prima mezz'ora onesta e dignitosa, sulla sponda del lago Wanaka, l'acqua (gelida) si allea con il vento e inizia a trovare varchi ovunque.
Le nostre difese fanno letteralmente acqua.
Una quarantina di cervi ci guardano stupiti dal crinale.
La "vista" annebbiata e misteriosa sul lago Hawea prima e Wanaka poi, le foreste rigogliosissime "pluviali" a ridosso dei continui saliscendi e le linee gialle sull'asfalto sono da poster malinconico.
Ma rimangono nella nostra testa, nessuna fotografia, non ne siamo in grado.
Testa bassa, qualche battuta di spirito e per il resto si pedala, obiettivo il prossimo campeggio a Makarora nella speranza che sia fornito di asciugatrice, tetto e un po' di compassione.
Non abbiamo alternative, non ci sono tettoie, pensiline o ponti.
Acqua a secchiate, vento e senso di impotenza. Siamo piccolissimi.
Anche rispetto alle macchine che sfrecciano incuranti e aggrediscono ancora di più il nostro morale.
Ma non molliamo. Siamo tough guys, tipi tosti, come ci han definito stamattina al campeggio.
Guardo il cielo, che non è d'Irlanda (neanche sull'isola della Guinnes piove così tanto) e chiedo un raggio di sole.
Giusto dieci minuti per scaldare lo spirito e asciugare le dita dei piedi.
In risposta raffiche di vento e salita ripidissima.
Proprio nel climax della nostra difficoltà, il cielo d'Irlanda interviene.
Un camper ci supera e si ferma. Un signore incappucciato, ma con la giacca ancora mezza aperta ci sbraccia e ci offre il suo help. Yes, please!
Due signori sulla settantina, il portabici dietro vuoto e un sorriso enorme in volto.
Sul loro e sul nostro (sul nostro è un po' sfocato per via del freddo).
Where are you from?
IRELAND.
Ovviamente. E so chi ce li ha mandati.
Nel 2008 col papi, ho girato l'Irlanda in bicicletta e scoperto che gli irlandesi sono decisamente il popolo migliore al mondo.
Gentili, disponibili e accoglienti.
Perfino in un paese che non è il loro.
Il cielo d'Irlanda è ovunque, pure in Nuova Zelanda.
John & Eleonore ci danno salviettoni, un divano caldo, oltre 200 km di passaggio e una cordialità disarmante.
Ci raccontano dei loro tre figli, dei loro viaggi insieme e delle pedalate di John.
Le cascate solitamente assenti lungo l'Haast pass e i torrenti colmi di detriti e tumultuosi ci rendono ancora più grati ai nostri genitori irlandesi adottivi per un giorno.
Pranzo insieme a Fox Glacier a base di fish & Chips e poi su fino a Franz Joseph Glacier.
Oggi niente tenda, galleggerebbe. Bungalow e crema di porcini bollente.
I due maestosi ghiacciai rimangono sotto la coperta di nebbia e nuvole basse a guardarsi un film su Netflix.
Domani speriamo escano a prendere un po' di sole e si facciano vedere.
Da noi e da John e da Eleonore, che se il meteo cambiasse drasticamente (we hope so), li sorvoleranno entrambi in elicottero.
Noi, se il meteo cambiasse drasticamente, li supereremo con le nostre eliche: a pedali e a due ruote.
E si spera, un pochino più asciutte di oggi!
HAWEA LAKE - ABSURD RAIN AT RANDOM POINT
30 Km - 500 mt up
IL CIELO D'IRLANDA
Il cielo d'Irlanda, avete letto giusto. Proprio come canta la Mannoia.
Siamo in Nuova Zelanda, lo sappiamo. Il vento e il freddo della prima notte in tenda non ci hanno ammattiti e fatto perdere il senso della posizione.
Anzi, con materassino insulated e un bel po' di strati indosso, ce la siamo cavata egregiamente.
Perfino la mattina, al primo smontaggio tenda.
Sveglia ore sei e nessun istante perso.
Qualche automatismo da oliare e sistemare, ma il gioco di squadra dà già i suoi frutti.
Alle otto siamo in sella, colazione a base di NUTELLA (quella vera) fatta.
Indossiamo praticamente tutto ciò che possiamo e ci sentiamo ermetici.
In gergo tecnico, siamo grado di protezione IP 65, impermeabili a spruzzi d'acqua.
A spruzzi d'acqua, non a secchiate.
E così, dopo la prima mezz'ora onesta e dignitosa, sulla sponda del lago Wanaka, l'acqua (gelida) si allea con il vento e inizia a trovare varchi ovunque.
Le nostre difese fanno letteralmente acqua.
Una quarantina di cervi ci guardano stupiti dal crinale.
La "vista" annebbiata e misteriosa sul lago Hawea prima e Wanaka poi, le foreste rigogliosissime "pluviali" a ridosso dei continui saliscendi e le linee gialle sull'asfalto sono da poster malinconico.
Ma rimangono nella nostra testa, nessuna fotografia, non ne siamo in grado.
Testa bassa, qualche battuta di spirito e per il resto si pedala, obiettivo il prossimo campeggio a Makarora nella speranza che sia fornito di asciugatrice, tetto e un po' di compassione.
Non abbiamo alternative, non ci sono tettoie, pensiline o ponti.
Acqua a secchiate, vento e senso di impotenza. Siamo piccolissimi.
Anche rispetto alle macchine che sfrecciano incuranti e aggrediscono ancora di più il nostro morale.
Ma non molliamo. Siamo tough guys, tipi tosti, come ci han definito stamattina al campeggio.
Guardo il cielo, che non è d'Irlanda (neanche sull'isola della Guinnes piove così tanto) e chiedo un raggio di sole.
Giusto dieci minuti per scaldare lo spirito e asciugare le dita dei piedi.
In risposta raffiche di vento e salita ripidissima.
Proprio nel climax della nostra difficoltà, il cielo d'Irlanda interviene.
Un camper ci supera e si ferma. Un signore incappucciato, ma con la giacca ancora mezza aperta ci sbraccia e ci offre il suo help. Yes, please!
Due signori sulla settantina, il portabici dietro vuoto e un sorriso enorme in volto.
Sul loro e sul nostro (sul nostro è un po' sfocato per via del freddo).
Where are you from?
IRELAND.
Ovviamente. E so chi ce li ha mandati.
Nel 2008 col papi, ho girato l'Irlanda in bicicletta e scoperto che gli irlandesi sono decisamente il popolo migliore al mondo.
Gentili, disponibili e accoglienti.
Perfino in un paese che non è il loro.
Il cielo d'Irlanda è ovunque, pure in Nuova Zelanda.
John & Eleonore ci danno salviettoni, un divano caldo, oltre 200 km di passaggio e una cordialità disarmante.
Ci raccontano dei loro tre figli, dei loro viaggi insieme e delle pedalate di John.
Le cascate solitamente assenti lungo l'Haast pass e i torrenti colmi di detriti e tumultuosi ci rendono ancora più grati ai nostri genitori irlandesi adottivi per un giorno.
Pranzo insieme a Fox Glacier a base di fish & Chips e poi su fino a Franz Joseph Glacier.
Oggi niente tenda, galleggerebbe. Bungalow e crema di porcini bollente.
I due maestosi ghiacciai rimangono sotto la coperta di nebbia e nuvole basse a guardarsi un film su Netflix.
Domani speriamo escano a prendere un po' di sole e si facciano vedere.
Da noi e da John e da Eleonore, che se il meteo cambiasse drasticamente (we hope so), li sorvoleranno entrambi in elicottero.
Noi, se il meteo cambiasse drasticamente, li supereremo con le nostre eliche: a pedali e a due ruote.
E si spera, un pochino più asciutte di oggi!
HERE COMES THE SUN
Turuturu..
Franz Joseph Glacier - Greymouth
170 km - 1000 mt up
Stasera (che per voi è mattina, esattamente 12 ore di differenza, quindi stessa ora ma opposta parte della giornata), siamo cotti.
Ci siamo appena sbafati un'indubbia pasta (teoricamente fusilli) ai porcini. Italiani e pasta liofilizzata. Ecco, non le migliori premesse per una cena di gala.
Dopo 170 km però, è stata una pasta eccezionale.
Oggi abbiamo spinto, e abbiamo recuperato con gli interessi i km non pedalati ieri. Non che fossimo obbligati, ma il sole fa questo effetto.
Sì, proprio il sole. Avevamo quasi dimenticato quanto scaldasse la nostra stella in soli tre giorni.
Oggi ci ha coccolato e permesso di sfoggiare le divise ROSTI con il nostro sempre valido motto, Lent ma seguent.
Comunque bracciali e gambali e maglia tecnica superperformante OUTWET son rimasti al loro posto, vigili sui nostri muscoli.
Oggi, abbiamo vissuto tre paesaggi (e quasi paesi) diversi: FORESTE incontenibili ricchissime di FELCI (ora ci è chiaro come mai sia il simbolo della Nuova Zelanda), IMMENSE PRATERIE spalancate ai piedi della catena del monte Cook (3700 mt dal livello del mare. E proprio sopra il mare. Potentissimo) e la WEST COAST ventosa e ondosa, con il Tasmanian sea in leggera lontananza.
La mattina ci ha presentato i paesaggi migliori, con una miriade di torrenti.
Creek di qua, creek di là.
Ognuno con il suo nome, e chissà quante storie celate dietro quei molteplici cartelli.
Fisherman creek, adamson creek, hiddingcows creek, Dawson cre..Ah no quella è un'altra cosa.
Tradotti, il torrente dei pescatori, quello del figlio di Adam e quello delle mucche che giocano a nascondino. Poesia.
Chi è poi questo Adam? Non l'abbiamo scoperto.
Ne abbiamo attraversato talmente tanti di ponti da aver scritto anche una canzoncina:
"Crying creeks streaming down the Mount Cook range, turuturu.. " A no, il turuturu era di HERE COMES THE SUN TURUTUTU!
Oggi con il sole infatti, cantiamo pure, e prendiamo addirittura velocità nei continui sali scendi marcati dalla linea gialla a centro strada, che ogni tanto ci regala anche la gioia di qualche tornante / curva. Soltanto ogni tanto.
Controllo il contachilometri, 28/30/32.. Nonostante la zavorra, oggi si vola.
E scandiamo il percorso con le tappe barretta. Barrette FALCO ovviamente (a voi!)
Su distanze così lunghe sono fondamentali. Oltre che spaziali.
Oltre alla vegetazione, è ricchissima anche la fauna. Ovviamente pecore, mucche, renne e cervi delle farm. Ma soprattutto uccelli di ogni tipo. E di ogni suono.
Dal bosco a bordo strada ci fanno compagnia allarmi di casa, suonerie polifoniche e connessioni LAN.
A Ros (non quello di Rachel), mentre mangiamo un panozzo prosciutto e avocado (è già l'ingrediente del viaggio!), passano John e Eleonore. HELLO DEARS!! Ci hanno invitato a Cork.
Nel pomeriggio, continuiamo a macinare kilometri, stavolta però stranamente per via del traffico.
Tra Hokitika e Greymouth, la strada è colma di camion (sempre meno che la Val Seriana), così non più abituati a così tanta civiltà, spingiamo il più possibile sperando finisca. Non lo fa.
Ci siamo però avvicinati all'obiettivo di domani. Le Pancake rocks di Punaikiki.
Vedrete domani.
Ora a parlare di pancake mi è tornata fame.
Son sicuro che è tornata anche a Alessandro, anche senza parlare di pancake.
Mangeremo un biscotto (anche 5) per calmarla.
Stasera, direi meritata. Meritatissima.
HERE COMES THE SUN TURUTUTU.
Speriamo anche domani!
Turuturu..
Franz Joseph Glacier - Greymouth
170 km - 1000 mt up
Stasera (che per voi è mattina, esattamente 12 ore di differenza, quindi stessa ora ma opposta parte della giornata), siamo cotti.
Ci siamo appena sbafati un'indubbia pasta (teoricamente fusilli) ai porcini. Italiani e pasta liofilizzata. Ecco, non le migliori premesse per una cena di gala.
Dopo 170 km però, è stata una pasta eccezionale.
Oggi abbiamo spinto, e abbiamo recuperato con gli interessi i km non pedalati ieri. Non che fossimo obbligati, ma il sole fa questo effetto.
Sì, proprio il sole. Avevamo quasi dimenticato quanto scaldasse la nostra stella in soli tre giorni.
Oggi ci ha coccolato e permesso di sfoggiare le divise ROSTI con il nostro sempre valido motto, Lent ma seguent.
Comunque bracciali e gambali e maglia tecnica superperformante OUTWET son rimasti al loro posto, vigili sui nostri muscoli.
Oggi, abbiamo vissuto tre paesaggi (e quasi paesi) diversi: FORESTE incontenibili ricchissime di FELCI (ora ci è chiaro come mai sia il simbolo della Nuova Zelanda), IMMENSE PRATERIE spalancate ai piedi della catena del monte Cook (3700 mt dal livello del mare. E proprio sopra il mare. Potentissimo) e la WEST COAST ventosa e ondosa, con il Tasmanian sea in leggera lontananza.
La mattina ci ha presentato i paesaggi migliori, con una miriade di torrenti.
Creek di qua, creek di là.
Ognuno con il suo nome, e chissà quante storie celate dietro quei molteplici cartelli.
Fisherman creek, adamson creek, hiddingcows creek, Dawson cre..Ah no quella è un'altra cosa.
Tradotti, il torrente dei pescatori, quello del figlio di Adam e quello delle mucche che giocano a nascondino. Poesia.
Chi è poi questo Adam? Non l'abbiamo scoperto.
Ne abbiamo attraversato talmente tanti di ponti da aver scritto anche una canzoncina:
"Crying creeks streaming down the Mount Cook range, turuturu.. " A no, il turuturu era di HERE COMES THE SUN TURUTUTU!
Oggi con il sole infatti, cantiamo pure, e prendiamo addirittura velocità nei continui sali scendi marcati dalla linea gialla a centro strada, che ogni tanto ci regala anche la gioia di qualche tornante / curva. Soltanto ogni tanto.
Controllo il contachilometri, 28/30/32.. Nonostante la zavorra, oggi si vola.
E scandiamo il percorso con le tappe barretta. Barrette FALCO ovviamente (a voi!)
Su distanze così lunghe sono fondamentali. Oltre che spaziali.
Oltre alla vegetazione, è ricchissima anche la fauna. Ovviamente pecore, mucche, renne e cervi delle farm. Ma soprattutto uccelli di ogni tipo. E di ogni suono.
Dal bosco a bordo strada ci fanno compagnia allarmi di casa, suonerie polifoniche e connessioni LAN.
A Ros (non quello di Rachel), mentre mangiamo un panozzo prosciutto e avocado (è già l'ingrediente del viaggio!), passano John e Eleonore. HELLO DEARS!! Ci hanno invitato a Cork.
Nel pomeriggio, continuiamo a macinare kilometri, stavolta però stranamente per via del traffico.
Tra Hokitika e Greymouth, la strada è colma di camion (sempre meno che la Val Seriana), così non più abituati a così tanta civiltà, spingiamo il più possibile sperando finisca. Non lo fa.
Ci siamo però avvicinati all'obiettivo di domani. Le Pancake rocks di Punaikiki.
Vedrete domani.
Ora a parlare di pancake mi è tornata fame.
Son sicuro che è tornata anche a Alessandro, anche senza parlare di pancake.
Mangeremo un biscotto (anche 5) per calmarla.
Stasera, direi meritata. Meritatissima.
HERE COMES THE SUN TURUTUTU.
Speriamo anche domani!
GREYMOUTH - PUNAIKIKI - KUMARA
130 km - 1100 mt up
CICLOTURISTI
Oggi sì, siamo stati cicloturisti veri e propri.
Almeno per i primi 100 km.
Siamo infatti partiti con una meta, le pancakes rocks di Punakaiki e il loro fascino geologico.
E soprattutto siamo andati e tornati da Greymouth SENZA SACCHE. E pure con il SOLLEONE!
Sembrava di volare, se non per il mal di sedere, mal di collo, mal di muscoli e l'assenza d'ali. Insomma, siamo un po' come i Kiwi Neozelandesi, che per via dell'assenza di predatori avevano disimparato di volare.
La nostra meta cicloturistica merita.
A partire da strada che ci porta lassù.
Un continuo saliscendi da torcicollo, a ridosso e a vista oceano.
A farci compagnia, bellissimi e imponenti faraglioni della WEST COAST.
Speravamo ci facessero compagnia anche i PINGUINI dagli occhi gialli, Yellow eyes penguins, ma il cartello giallo che annuncia la loro possibile presenza in strada, ci illude e basta. Ma speriamo di vederli più avanti.
A proposito di cartelli d'attenzione all'attraversamento animali.
Qua si sono scatenati.
Passiamo dal pinguino, alla mucca, all'uomo a cavallo, al trattore, ma soprattutto alle lumache.
Sì, avete letto bene, alle LUMACHE.
Ci è venuto il dubbio che le lumache qui in Nuova Zelanda siano gigantesche.
Fortunatamente non ci hanno attraversato la strada.
Dopo 40 strappi, alleviati da pochissime e leggerissime curve, oltre che dalla vista a perdifiato su oceano mosso a sinistra e sulla solita foresta pluviale (dall'apparenza amazzonica) a destra, e dopo altrettante discese, centriamo il nostro obiettivo.
A Punaikiki, una passerella di legno tra le aiuole rigogliosissime (non può che essere altrimenti) ci porta sopra le panckaes rocks.
Formazioni calcaree stratificate più di noi per combattere il freddo.
La magia morfologica è completata dal dinamismo delle onde dell'oceano che sbuffano e rimbombano nei famosi blow holes. Una specie di geyser non legato però a nessun vulcanismo. Solo vento, onde dell'oceano, cavità subacquee e alta marea.
Oggi sì, siamo stati cicloturisti.
Ma per i primi 100 km. Poi abbiamo ripreso il mantello da CICLOVIAGGIATORI, ovvero le nostre care e amate sacche.
Abbiamo ripreso anche l'incertezza e la bellezza della scoperta, che va sempre a braccetto con loro.
Cicloviaggiatori, perché pedaliamo LENT MA SEGUENT senza un obiettivo da centrare a tutti i costi.
Ascoltiamo strada, vento, stanchezza e, dobbiamo ammetterlo, soprattutto FAME.
In realtà anche al risveglio stamattina ci siamo sentiti cicloviaggiatori.
Soprattutto mentre ci rannicchiavamo nel sacco a pelo, nel tentativo di indossare la divisa da bici ROSTI, i gambali, i bracciali, il gilet senza maniche, mettere le barrette FALCO in tasca, la maglia tecnica OUTWET , il casco LAS, gli occhiali BERTONI, il kway, la berretta e il buff ELLE ERRE, tutto senza uscire dal sacco a pelo e senza testare l'umidità e la freschezza della mattina presto.
E per fortuna che la mattina prestoqui c'è già il sole abbondante.
Per fortuna.
Stasera abbiamo raggiunto Kumara, dopo un tratto del trail sterrato western WILDERNESS.
In realtà eravamo andati anche più avanti, verso l'obiettuvo di domani (da ciclomasochisti) la nostra cima Coppi, la tappa regina, la scalata all'Arthur Pass.
Eravamo pronti al free-camping e avevamo anche individuato lo spot perfetto, con tanto di bagno nel laghetto artificiale.
Però i cartelli di divieto tenda e un operatore della diga, ci fanno desistere, anzi rimandare l'accampamento in natura.
Campeggio anche stasera, o meglio, giardino di una casa, molto accogliente e allestito con tutto ciò che un cicloviaggiatore possa desiderare.
Il condimento della pasta (stasera carbonara!!!), un'amaca e le bandierine colorate del Nepal.
Non poteva esserci vigilia migliore alla scalata all'ARTHUR PASS.
E ora tutti (anzi, solo io e Alessandro) a nanna in tenda.
Domani sarà un grande giorno.
Come tutti gli altri.
130 km - 1100 mt up
CICLOTURISTI
Oggi sì, siamo stati cicloturisti veri e propri.
Almeno per i primi 100 km.
Siamo infatti partiti con una meta, le pancakes rocks di Punakaiki e il loro fascino geologico.
E soprattutto siamo andati e tornati da Greymouth SENZA SACCHE. E pure con il SOLLEONE!
Sembrava di volare, se non per il mal di sedere, mal di collo, mal di muscoli e l'assenza d'ali. Insomma, siamo un po' come i Kiwi Neozelandesi, che per via dell'assenza di predatori avevano disimparato di volare.
La nostra meta cicloturistica merita.
A partire da strada che ci porta lassù.
Un continuo saliscendi da torcicollo, a ridosso e a vista oceano.
A farci compagnia, bellissimi e imponenti faraglioni della WEST COAST.
Speravamo ci facessero compagnia anche i PINGUINI dagli occhi gialli, Yellow eyes penguins, ma il cartello giallo che annuncia la loro possibile presenza in strada, ci illude e basta. Ma speriamo di vederli più avanti.
A proposito di cartelli d'attenzione all'attraversamento animali.
Qua si sono scatenati.
Passiamo dal pinguino, alla mucca, all'uomo a cavallo, al trattore, ma soprattutto alle lumache.
Sì, avete letto bene, alle LUMACHE.
Ci è venuto il dubbio che le lumache qui in Nuova Zelanda siano gigantesche.
Fortunatamente non ci hanno attraversato la strada.
Dopo 40 strappi, alleviati da pochissime e leggerissime curve, oltre che dalla vista a perdifiato su oceano mosso a sinistra e sulla solita foresta pluviale (dall'apparenza amazzonica) a destra, e dopo altrettante discese, centriamo il nostro obiettivo.
A Punaikiki, una passerella di legno tra le aiuole rigogliosissime (non può che essere altrimenti) ci porta sopra le panckaes rocks.
Formazioni calcaree stratificate più di noi per combattere il freddo.
La magia morfologica è completata dal dinamismo delle onde dell'oceano che sbuffano e rimbombano nei famosi blow holes. Una specie di geyser non legato però a nessun vulcanismo. Solo vento, onde dell'oceano, cavità subacquee e alta marea.
Oggi sì, siamo stati cicloturisti.
Ma per i primi 100 km. Poi abbiamo ripreso il mantello da CICLOVIAGGIATORI, ovvero le nostre care e amate sacche.
Abbiamo ripreso anche l'incertezza e la bellezza della scoperta, che va sempre a braccetto con loro.
Cicloviaggiatori, perché pedaliamo LENT MA SEGUENT senza un obiettivo da centrare a tutti i costi.
Ascoltiamo strada, vento, stanchezza e, dobbiamo ammetterlo, soprattutto FAME.
In realtà anche al risveglio stamattina ci siamo sentiti cicloviaggiatori.
Soprattutto mentre ci rannicchiavamo nel sacco a pelo, nel tentativo di indossare la divisa da bici ROSTI, i gambali, i bracciali, il gilet senza maniche, mettere le barrette FALCO in tasca, la maglia tecnica OUTWET , il casco LAS, gli occhiali BERTONI, il kway, la berretta e il buff ELLE ERRE, tutto senza uscire dal sacco a pelo e senza testare l'umidità e la freschezza della mattina presto.
E per fortuna che la mattina prestoqui c'è già il sole abbondante.
Per fortuna.
Stasera abbiamo raggiunto Kumara, dopo un tratto del trail sterrato western WILDERNESS.
In realtà eravamo andati anche più avanti, verso l'obiettuvo di domani (da ciclomasochisti) la nostra cima Coppi, la tappa regina, la scalata all'Arthur Pass.
Eravamo pronti al free-camping e avevamo anche individuato lo spot perfetto, con tanto di bagno nel laghetto artificiale.
Però i cartelli di divieto tenda e un operatore della diga, ci fanno desistere, anzi rimandare l'accampamento in natura.
Campeggio anche stasera, o meglio, giardino di una casa, molto accogliente e allestito con tutto ciò che un cicloviaggiatore possa desiderare.
Il condimento della pasta (stasera carbonara!!!), un'amaca e le bandierine colorate del Nepal.
Non poteva esserci vigilia migliore alla scalata all'ARTHUR PASS.
E ora tutti (anzi, solo io e Alessandro) a nanna in tenda.
Domani sarà un grande giorno.
Come tutti gli altri.
ARTHUR
KUMARA - LAKE PEARSON
107 Km - 1500 mt up
ARTURO CE L'HA DURO.
Il passo (picchi del 16 %).
Ma noi abbiamo quello giusto per domarlo. Di passo. LENT MA SEGUENT.
Oggi è stato il giorno dell'Arthur Pass, bellissimo e suggestivo. Pochi tornanti, ma tanti rettilinei ripidi e minacciosi.
La difficoltà si fa vedere, non si nasconde dietro l'angolo. E ti tiene con l'acqua alla gola. Si vede che i Neozelandesi non hanno avuto Giotto, o comunque non erano molto bravi in geometria. Solo linee dritte per dritte. Per noi ciclisti, senza pietà.
Ma partiamo da stamattina, perché in fondo tutto è andato liscio e.. il piede a terra mai. Nemmeno sulle rampe dell'Arthur Pass.
Di sicuro la colazione ha contribuito. Alla grande. Chi ben comincia, è a metà dell'opera. Dicono.
Per non contraddire il detto popolare, noi iniziamo la giornata con latte al cioccolato caldo e muesli. E una decina di biscotti.
Fuori dalla tenda, smontata sempre in minor tempo, c'è una roccia dipinta dalla proprietaria del giardino/campeggio, Happy hippy Kate.
Il sasso recita "Be Always grateful". Beh, noi non possiamo che esserlo.
Bastano 5 km e pedaliamo nuovamente nell'immensità selvaggia.
Nonostante qualche camion di boscaioli e qualche furgoncino kiwi e juice di turisti "all'avventura", siamo immersi in paesaggi quasi IMMACOLATI.
L'acqua dei moltissimi fiumi che attraversiamo lo è senz'altro.
Il Taramakau river è AZZURRO cristallino, ghiaccio vivo, occhi vitrei che non puoi fare a meno di ammirare.
In realtà accanto alla nostra strada (l'unica a dire la verità per l'Arthur Pass), c'è un segno di civiltà, o meglio ci sarebbe.
Le rotaie del trenino alpino.
Sembra però più il treno di Celentano. Quello dei desideri. Nel senso che si fa desiderare.
E infatti nelle 4 ore della nostra ascesa ne vediamo passare solo uno. Tra l'altro anche lui lent ma seguent.
Dopo 60 km scorrevoli e caldi (Alessandro comincia a sentire la pelata arrossita!), e le solite barrette FALCO smezzate, siamo ormai all'attacco della salita vera e propria, quando la valle si restringe, il fiume diventa torrente, e le montagne oltre i 2000 mt incombono minacciose.
Siamo ad OTIRA.
Otira o molla. Noi non molliamo. Anzi tiriamo diritto per la salita.
Ma solo dopo esserci fermati al "most interesting pub of New Zeland".
Così recita un cartello sbiadito dell'800.
Temiamo fosse una casa chiusa e temiamo che le avvenenti donzelle abbiano la stessa età del cartello.
Invece la most interesting part di questo bar è lampante. Ed è ovunque.
La casetta di legno e lamiera esplode di qualsiasi cosa:
libri, parrucche, utensili della ricerca dell'oro, biciclette, pupazzi e animali impagliati. Animali impagliati ovunque.
C'è perfino un Gollum gigante sul tetto. E Gandalf il grigio nel parcheggio.
Però, c'è anche il camino col fuoco acceso e quindi ci fermiamo e facciamo il pieno di White baits (pesciolini fritti) e di patatine
È la scelta perfetta.
La salita parte quasi subito durissima. Arturo ce l'ha duro.
Noi stringiamo i denti e non molliamo, anzi facciamo la salita anche a passo sostenuto (si fa per dire), perché scortati dagli addetti ai lavori stradali.
Traffico bloccato, "we've got two cyclists here". Dalle macchine ferme in fila, riceviamo incitamenti e thumbs up.
Così tutto si facilita (si fa per dire).
Al passo, la delusione della mancanza di un cartello adeguato, come siamo abituati da noi sulle nostre salite, viene alleviata da simpaticissimi KEA.
I pappagalli alpini (sì, pappagalli alpini!) sono curiosi e si avvicinano senza alcuna paura. Anzi, sembrano puntare pure alle nostre sacche, stracolme di cibo liofilizzato e con health rate 1.0.
Ma che non vediamo l'ora di divorare.
Ora infatti siamo già in tenda, più presto del solito, sul lago Pearson, ad ascoltare il vento assordante, a digerire la merenda a base di uova di Cracco e pane e formaggio spalmabile e a rilassarsci un po'.
Oggi probabilmente la salita più dura del viaggio (probabilmente, qui non si sa mai) e superato quota 500 km su quest'isola pazzesca (570 km nelle gambe), quindi un po' di relax ricarica le nostre pile in vista delle prossime tappe.
Le batterie del nostro esercito elettronico invece le ricaricherà un pannellino solare, da domani installato sulla sacca.
Sperando a maggior ragione che si presenti il nostro miglior amico di questo viaggio. Il SOLE.
Alla pelata di Alessandro che si scotta ci penseremo poi.
KUMARA - LAKE PEARSON
107 Km - 1500 mt up
ARTURO CE L'HA DURO.
Il passo (picchi del 16 %).
Ma noi abbiamo quello giusto per domarlo. Di passo. LENT MA SEGUENT.
Oggi è stato il giorno dell'Arthur Pass, bellissimo e suggestivo. Pochi tornanti, ma tanti rettilinei ripidi e minacciosi.
La difficoltà si fa vedere, non si nasconde dietro l'angolo. E ti tiene con l'acqua alla gola. Si vede che i Neozelandesi non hanno avuto Giotto, o comunque non erano molto bravi in geometria. Solo linee dritte per dritte. Per noi ciclisti, senza pietà.
Ma partiamo da stamattina, perché in fondo tutto è andato liscio e.. il piede a terra mai. Nemmeno sulle rampe dell'Arthur Pass.
Di sicuro la colazione ha contribuito. Alla grande. Chi ben comincia, è a metà dell'opera. Dicono.
Per non contraddire il detto popolare, noi iniziamo la giornata con latte al cioccolato caldo e muesli. E una decina di biscotti.
Fuori dalla tenda, smontata sempre in minor tempo, c'è una roccia dipinta dalla proprietaria del giardino/campeggio, Happy hippy Kate.
Il sasso recita "Be Always grateful". Beh, noi non possiamo che esserlo.
Bastano 5 km e pedaliamo nuovamente nell'immensità selvaggia.
Nonostante qualche camion di boscaioli e qualche furgoncino kiwi e juice di turisti "all'avventura", siamo immersi in paesaggi quasi IMMACOLATI.
L'acqua dei moltissimi fiumi che attraversiamo lo è senz'altro.
Il Taramakau river è AZZURRO cristallino, ghiaccio vivo, occhi vitrei che non puoi fare a meno di ammirare.
In realtà accanto alla nostra strada (l'unica a dire la verità per l'Arthur Pass), c'è un segno di civiltà, o meglio ci sarebbe.
Le rotaie del trenino alpino.
Sembra però più il treno di Celentano. Quello dei desideri. Nel senso che si fa desiderare.
E infatti nelle 4 ore della nostra ascesa ne vediamo passare solo uno. Tra l'altro anche lui lent ma seguent.
Dopo 60 km scorrevoli e caldi (Alessandro comincia a sentire la pelata arrossita!), e le solite barrette FALCO smezzate, siamo ormai all'attacco della salita vera e propria, quando la valle si restringe, il fiume diventa torrente, e le montagne oltre i 2000 mt incombono minacciose.
Siamo ad OTIRA.
Otira o molla. Noi non molliamo. Anzi tiriamo diritto per la salita.
Ma solo dopo esserci fermati al "most interesting pub of New Zeland".
Così recita un cartello sbiadito dell'800.
Temiamo fosse una casa chiusa e temiamo che le avvenenti donzelle abbiano la stessa età del cartello.
Invece la most interesting part di questo bar è lampante. Ed è ovunque.
La casetta di legno e lamiera esplode di qualsiasi cosa:
libri, parrucche, utensili della ricerca dell'oro, biciclette, pupazzi e animali impagliati. Animali impagliati ovunque.
C'è perfino un Gollum gigante sul tetto. E Gandalf il grigio nel parcheggio.
Però, c'è anche il camino col fuoco acceso e quindi ci fermiamo e facciamo il pieno di White baits (pesciolini fritti) e di patatine
È la scelta perfetta.
La salita parte quasi subito durissima. Arturo ce l'ha duro.
Noi stringiamo i denti e non molliamo, anzi facciamo la salita anche a passo sostenuto (si fa per dire), perché scortati dagli addetti ai lavori stradali.
Traffico bloccato, "we've got two cyclists here". Dalle macchine ferme in fila, riceviamo incitamenti e thumbs up.
Così tutto si facilita (si fa per dire).
Al passo, la delusione della mancanza di un cartello adeguato, come siamo abituati da noi sulle nostre salite, viene alleviata da simpaticissimi KEA.
I pappagalli alpini (sì, pappagalli alpini!) sono curiosi e si avvicinano senza alcuna paura. Anzi, sembrano puntare pure alle nostre sacche, stracolme di cibo liofilizzato e con health rate 1.0.
Ma che non vediamo l'ora di divorare.
Ora infatti siamo già in tenda, più presto del solito, sul lago Pearson, ad ascoltare il vento assordante, a digerire la merenda a base di uova di Cracco e pane e formaggio spalmabile e a rilassarsci un po'.
Oggi probabilmente la salita più dura del viaggio (probabilmente, qui non si sa mai) e superato quota 500 km su quest'isola pazzesca (570 km nelle gambe), quindi un po' di relax ricarica le nostre pile in vista delle prossime tappe.
Le batterie del nostro esercito elettronico invece le ricaricherà un pannellino solare, da domani installato sulla sacca.
Sperando a maggior ragione che si presenti il nostro miglior amico di questo viaggio. Il SOLE.
Alla pelata di Alessandro che si scotta ci penseremo poi.
Day 8 / Stage 6:
LAKE PEARSON - MOUNT SOMERS
140 Km 1300 dislivello. Km totali 720.
LA FRITTATA
Oggi sveglia ore 6. Effettiva ore 6:30.
Vestitura Rosti, smontatura tenda e colazione a base di the e biscotti, con i nostri fornellino e pentolino. Il tutto alla riva tranquilla del lago Pearson.
Unica nota negativa di questo "free" campsite, è l'assenza d'acqua corrente.
Esaurite le nostre scorte per il the, partiamo senz'acqua. E ci restiamo per parecchi km. Questo compromette un po' la partenza, che è abbastanza faticosa, complici anche i soliti su e giù.
E i dolorini sempre più ballerini.
Il passaggio da CASTLE HILL però migliora la prospettiva di questa lunga giornata.
Oltre a riempire le borracce, riempiamo gli occhi di un paesaggio spettacolare. E completamente naturale.
I colli verdissimi sono conditi da giganti boulders, massi e pareti di roccia calcarea da mille forme.
Sembra la tavola imbandita di un gigante di pietra. Ci sono bottiglie, piatti, salami e pure il porceddu.
L' atmosfera è unica, ricorda la misticità di vecchi sciamani.
E nell'aria ci sono pure note di flauto, rimbombi di tamburo e richiami "indiani".
Non sappiamo esattamente perché, ma apparentemente da 12 anni a questa parte, una santona abbiente e il suo amico, si infilano tra le crepe e le nicchie di Castle Hill (famosissime anche tra i migliori boulderisti al mondo) e fanno musica, diciamo d'atmosfera.
Alessandro viene pure ingabbiato in un discorso sul bene cosmico e sui battiti della terra.
Lasciato Castle Hill e la sua magia alle spalle, speriamo di guadagnare un po' di terreno, ma di fronte a noi si presenta il PORTAL PASS.
Sale regolare, ma sale.
Con le nostre Kenny e Gianna, parcheggiate a casa, sarebbe una passeggiata. Ma con le Surley cariche come due sherpa (che poi forse i veri sherpa siamo noi), non può esserlo.
Però, c'è il sole.
Fa caldo e osiamo perfino mostrare le gambe semidepilate (lo erano alla partenza) per la prima volta. Le pecore si voltano con disgusto.
Siamo solo alla mattina ma la salita la affronto già scrivendo l'iniziale del mio nome sull'asfalto. Tante piccole S che mi permettono di scollinare.
Alessandro è già in cima, che accende la Go Pro per filmare la discesa ripidissima.
Però, Surprise!
Al di là del Passo, che effettivamente si chiama Portal, sembra cambiare stagione, regione e stratosfera.
Di colpo entriamo nella nebbia umida e fredda. Solo il fiore invasivo autoctono giallo, rende meno cupa la discesa.
Nota positiva, il camembert nella mia sacca anteriore stava quasi per sciogliersi (quasi né), ma ora è come averlo rimesso in frigor.
In fondo alla discesa, il villaggio di Springfield.
E come il nome promette, ci accoglie una ciambella gigante nel parco comunale.
Però, niente APU shop o da Moe.
Solo un baretto viola acceso che ci offre un cubo di frittata vegetariana pazzesca.
Ne prendiamo tre, oltre al crumble al caramello.
Inutile dirlo, LA FRITTATA ci rinvigorisce.
Abbiamo percorso solo 50 km, ne mancano 90 ed è l'una.
Poco male, la frittata fa il suo onestissimo dovere.
Così come Alessandro, che inizia a tirare come un treno. Sicuramente più veloce dell'Alpine Train di ieri sull'Arthur Pass.
Al mini shop di Springfield, oltre alla scorta d'acqua per l'eventuale cena fai-da-noi di stasera, abbiamo preso un sacchetto di caramelle zuccherate.
Le usiamo come testimone, per darci il cambio a tirare ogni 5 km.
Una staffetta fruttuosissima.
Ci poniamo come obiettivo i 100 km.
Le valli apertissime, i primi campi agricoli che vediamo e le file ordinatissime di conifere (si vede che abbiamo abbandonato la costa e abbracciato l'entroterra), fanno da sfondo all'eco di Iva Zanicchi.
100 100 100. E una caramella dopo l'altra, i 100 km arrivano.
Guarda caso, proprio al villaggio di WIND WHISTLE.
E il vento fischia, non soffia oggi, e ci permette di proseguire con rinnovato spirito.
Sono le 3 e ci restano 40 km.
Ovviamente, non poteva essere tutto "piatto".
Tornano le salite, tornano le s delle nostre ruote sull'asfalto e il sole resta timido.
E la frittata ormai è andata.
Ma una barretta Falco (l'ennesima), i paesaggi incontaminati, ancora una volta, insieme a mucche e pecore onnipresenti, e che salutiamo sempre, ci portano a Mount Somer.
Qui conosciamo pure due ciclo viaggiatori dall'Argentina.
Piccola differenza, loro viaggeranno in Nuova Zelanda per 5 mesi. 5 mesi, esatto.
Noi purtroppo neanche 3 settimane.
Per questo domani sveglia presto e altro tappone per una delle ciliegine di tutto il viaggio.
LAKE TEKAPO, con il riflesso del Monte Cook e di uno dei cieli più stellati al mondo, nelle sue acque dannatamente azzurre.
La cena però promette bene. Ci infiliamo con il nostro risotto ai frutti di mare, in una sorta di raduno di vecchietti agitati e semi ubriachi di un club di jeep.
Riusciamo a scroccargli una fetta di prosciutto, patate con burro, macedonia, crema inglese e gelato.
Oltre ovviamente alla nostra cena.
Ora la nostra tenda ci aspetta.
Ormai organizzata come fosse camera nostra. Ognuno con il proprio "comodino" e con i vestiti da bici pronti ad essere indossati all'alba.
Ah, e ovviamente stanotte dormiamo con la maglia dell'Atalanta.
Ovviamente non la vedremo, sia perché saranno le 3 che per la rete scarsissima.
Ma ovviamente speriamo in un risveglio ancora più dolce di quanto sicuramente sarà. Anche perché, è ogni giorno sempre meno fresco!
FORZA DEA!
LAKE PEARSON - MOUNT SOMERS
140 Km 1300 dislivello. Km totali 720.
LA FRITTATA
Oggi sveglia ore 6. Effettiva ore 6:30.
Vestitura Rosti, smontatura tenda e colazione a base di the e biscotti, con i nostri fornellino e pentolino. Il tutto alla riva tranquilla del lago Pearson.
Unica nota negativa di questo "free" campsite, è l'assenza d'acqua corrente.
Esaurite le nostre scorte per il the, partiamo senz'acqua. E ci restiamo per parecchi km. Questo compromette un po' la partenza, che è abbastanza faticosa, complici anche i soliti su e giù.
E i dolorini sempre più ballerini.
Il passaggio da CASTLE HILL però migliora la prospettiva di questa lunga giornata.
Oltre a riempire le borracce, riempiamo gli occhi di un paesaggio spettacolare. E completamente naturale.
I colli verdissimi sono conditi da giganti boulders, massi e pareti di roccia calcarea da mille forme.
Sembra la tavola imbandita di un gigante di pietra. Ci sono bottiglie, piatti, salami e pure il porceddu.
L' atmosfera è unica, ricorda la misticità di vecchi sciamani.
E nell'aria ci sono pure note di flauto, rimbombi di tamburo e richiami "indiani".
Non sappiamo esattamente perché, ma apparentemente da 12 anni a questa parte, una santona abbiente e il suo amico, si infilano tra le crepe e le nicchie di Castle Hill (famosissime anche tra i migliori boulderisti al mondo) e fanno musica, diciamo d'atmosfera.
Alessandro viene pure ingabbiato in un discorso sul bene cosmico e sui battiti della terra.
Lasciato Castle Hill e la sua magia alle spalle, speriamo di guadagnare un po' di terreno, ma di fronte a noi si presenta il PORTAL PASS.
Sale regolare, ma sale.
Con le nostre Kenny e Gianna, parcheggiate a casa, sarebbe una passeggiata. Ma con le Surley cariche come due sherpa (che poi forse i veri sherpa siamo noi), non può esserlo.
Però, c'è il sole.
Fa caldo e osiamo perfino mostrare le gambe semidepilate (lo erano alla partenza) per la prima volta. Le pecore si voltano con disgusto.
Siamo solo alla mattina ma la salita la affronto già scrivendo l'iniziale del mio nome sull'asfalto. Tante piccole S che mi permettono di scollinare.
Alessandro è già in cima, che accende la Go Pro per filmare la discesa ripidissima.
Però, Surprise!
Al di là del Passo, che effettivamente si chiama Portal, sembra cambiare stagione, regione e stratosfera.
Di colpo entriamo nella nebbia umida e fredda. Solo il fiore invasivo autoctono giallo, rende meno cupa la discesa.
Nota positiva, il camembert nella mia sacca anteriore stava quasi per sciogliersi (quasi né), ma ora è come averlo rimesso in frigor.
In fondo alla discesa, il villaggio di Springfield.
E come il nome promette, ci accoglie una ciambella gigante nel parco comunale.
Però, niente APU shop o da Moe.
Solo un baretto viola acceso che ci offre un cubo di frittata vegetariana pazzesca.
Ne prendiamo tre, oltre al crumble al caramello.
Inutile dirlo, LA FRITTATA ci rinvigorisce.
Abbiamo percorso solo 50 km, ne mancano 90 ed è l'una.
Poco male, la frittata fa il suo onestissimo dovere.
Così come Alessandro, che inizia a tirare come un treno. Sicuramente più veloce dell'Alpine Train di ieri sull'Arthur Pass.
Al mini shop di Springfield, oltre alla scorta d'acqua per l'eventuale cena fai-da-noi di stasera, abbiamo preso un sacchetto di caramelle zuccherate.
Le usiamo come testimone, per darci il cambio a tirare ogni 5 km.
Una staffetta fruttuosissima.
Ci poniamo come obiettivo i 100 km.
Le valli apertissime, i primi campi agricoli che vediamo e le file ordinatissime di conifere (si vede che abbiamo abbandonato la costa e abbracciato l'entroterra), fanno da sfondo all'eco di Iva Zanicchi.
100 100 100. E una caramella dopo l'altra, i 100 km arrivano.
Guarda caso, proprio al villaggio di WIND WHISTLE.
E il vento fischia, non soffia oggi, e ci permette di proseguire con rinnovato spirito.
Sono le 3 e ci restano 40 km.
Ovviamente, non poteva essere tutto "piatto".
Tornano le salite, tornano le s delle nostre ruote sull'asfalto e il sole resta timido.
E la frittata ormai è andata.
Ma una barretta Falco (l'ennesima), i paesaggi incontaminati, ancora una volta, insieme a mucche e pecore onnipresenti, e che salutiamo sempre, ci portano a Mount Somer.
Qui conosciamo pure due ciclo viaggiatori dall'Argentina.
Piccola differenza, loro viaggeranno in Nuova Zelanda per 5 mesi. 5 mesi, esatto.
Noi purtroppo neanche 3 settimane.
Per questo domani sveglia presto e altro tappone per una delle ciliegine di tutto il viaggio.
LAKE TEKAPO, con il riflesso del Monte Cook e di uno dei cieli più stellati al mondo, nelle sue acque dannatamente azzurre.
La cena però promette bene. Ci infiliamo con il nostro risotto ai frutti di mare, in una sorta di raduno di vecchietti agitati e semi ubriachi di un club di jeep.
Riusciamo a scroccargli una fetta di prosciutto, patate con burro, macedonia, crema inglese e gelato.
Oltre ovviamente alla nostra cena.
Ora la nostra tenda ci aspetta.
Ormai organizzata come fosse camera nostra. Ognuno con il proprio "comodino" e con i vestiti da bici pronti ad essere indossati all'alba.
Ah, e ovviamente stanotte dormiamo con la maglia dell'Atalanta.
Ovviamente non la vedremo, sia perché saranno le 3 che per la rete scarsissima.
Ma ovviamente speriamo in un risveglio ancora più dolce di quanto sicuramente sarà. Anche perché, è ogni giorno sempre meno fresco!
FORZA DEA!
Day 9 / Stage 7:
MOUNT SOMERS - LAKE TEKAPO
140 Km 1100 dislivello. Km totali 860.
UNA DOMENICA D'ESTATE
È vero, siamo in ferie. Ogni giorno è di festa.
Eppure oggi sembra proprio Domenica. Sunday morning. E pure una Domenica d'Estate. Abbandonando la west coast e risalendo un po', finalmente l'abbiamo intercettata.
E vedere lucine di natale e alberelli in via di preparazione con quasi 30 gradi ha il suo perché.
Oggi è Domenica. A partire dalla colazione. SONTUOSA.
Grazie ai resti del circolo anziani di Oamaru, aggiungiamo al nostro thè e toast al burro di arachidi, un paio di cosine caloriche e golosissime. Solo un paio eh.
Coppa di gelato con frutta sciroppata e crema inglese, prosciutto di corn beef, una coscia di pollo e patate. Un milione di patate.
Così, nonostante nella notte la Dea le abbia prese, noi partiamo fortissimo.
Talmente forte da venirci l'idea di progettare un motore a patate.
La sveglia alle cinque e mezza, e le patate, ci portano a Geraldine in un sol boccone. 50 km in meno di due ore.
Talmente forte, che la colazione è già andata. 4 plumcakes e si riparte.
Imbocchiamo la INLAND SCENIC ROUTE numero 72, ed il paesaggio esprime una tranquillità emozionante.
Una Domenica d'Estate sui colli verdissimi del countryside Neozelandese.
E con tanto di Prealpi e qualche spruzzo di neve a completare il quadretto.
E ovviamente nessun villaggio per km, se non qualche farm isolata e qualche art gallery (perché, non l'abbiamo ancora capito).
Però il clima ci lascia davvero di stucco.
Sono solo lontano ricordo gli stralci di Primavera piovosa e fredda della West Coast.
Qui fa davvero caldo e restiamo perfino in divisa ROSTI a maniche corte.
Bracciali, gambali e perfino canottiera OUTWET, riposti nelle nostre sacche (a parte quelli di Alessandro che per poco non svolazzano via).
In poche ore si forma già il segno dell'abbronzatura (e che segno!) con l'arsura affievolita solo leggermente dal vento contrario, che però aumenta la fatica.
Nonostante qualche clacksonata ignorante (quasi come in Italia. Quasi), da parte di Neozelandesi frustrati nonostante stiano andando al lago con la barca a rimorchio, l'obiettivo di oggi inizia ad apparire.
Perlomeno nei cartelli. Il Monte AORAKI, per i non Maori, il monte Cook, il più alto della Nazione con oltre 3700 mt di altezza (più dell'Adamello per intenderci, però non distante dall'oceano!).
Nonostante il suo nome sia probabilmente dovuto al Mr. Cook, a noi la traduzione letterale appare più azzeccata.
L'avvicinamento al Parco Naturale del monte COOK, ci cuoce a puntino.
Almeno a me, che nonostante il pranzo a buffet in qual di Fairlie, vengo definitivamente finito dal Passo Burkes.
Ma è una Domenica d'Estate, la bellezza di essere qua e finalmente la catena maestosa e ricca di ghiaccio del Monte Cook di fronte a me, mi fa proseguire. Very very very LENT ma seguent.
La pazienza di Ale, una barretta FALCO e due banane ci mettono il resto.
La visione del Lago Tekapo dall'alto è una ricompensa fin troppo generosa.
Una visione PAZZESCA.
Il colore dell'acqua è di un azzurro non umano, contornato dal viola luminoso dei Lupini, orgogliosi e impettiti al vento.
I colori del lago sembrano frutto di un filtro di Instagram, di un aumento di tonalità azzurro fluo.
E invece è tutto vero, lì ai nostri piedi.
E i nostri piedi ce li "pucciamo" pure dentro.
Almeno Alessandro. Io, faccio un immersione istantanea completa.
Riemergo fradicio, gelido, con la pelle d'oca e con negli occhi l'azzurrissimo Tekapo che sfuma nella catena del Monte Cook. Sono RINATO. Anzi, Resuscitato.
Come una Domenica, la Domenica di Pasqua.
C'è tempo per recuperare, soprattutto con un'altra visione. Quella del cielo stellato di stasera.
La strada che ci ha portato qua si chiama STARLIGHT Road, perché ci porta nel Parco Internazionale "Dark Sky reserve Aoraki McKenzie".
Insomma una riserva per uno dei cieli meno soggetti all'inquinamento luminoso AL MONDO.
Le STELLE ci attendono. Io ho pronto un paio di desideri.
Uno lo sto già realizzando.
MOUNT SOMERS - LAKE TEKAPO
140 Km 1100 dislivello. Km totali 860.
UNA DOMENICA D'ESTATE
È vero, siamo in ferie. Ogni giorno è di festa.
Eppure oggi sembra proprio Domenica. Sunday morning. E pure una Domenica d'Estate. Abbandonando la west coast e risalendo un po', finalmente l'abbiamo intercettata.
E vedere lucine di natale e alberelli in via di preparazione con quasi 30 gradi ha il suo perché.
Oggi è Domenica. A partire dalla colazione. SONTUOSA.
Grazie ai resti del circolo anziani di Oamaru, aggiungiamo al nostro thè e toast al burro di arachidi, un paio di cosine caloriche e golosissime. Solo un paio eh.
Coppa di gelato con frutta sciroppata e crema inglese, prosciutto di corn beef, una coscia di pollo e patate. Un milione di patate.
Così, nonostante nella notte la Dea le abbia prese, noi partiamo fortissimo.
Talmente forte da venirci l'idea di progettare un motore a patate.
La sveglia alle cinque e mezza, e le patate, ci portano a Geraldine in un sol boccone. 50 km in meno di due ore.
Talmente forte, che la colazione è già andata. 4 plumcakes e si riparte.
Imbocchiamo la INLAND SCENIC ROUTE numero 72, ed il paesaggio esprime una tranquillità emozionante.
Una Domenica d'Estate sui colli verdissimi del countryside Neozelandese.
E con tanto di Prealpi e qualche spruzzo di neve a completare il quadretto.
E ovviamente nessun villaggio per km, se non qualche farm isolata e qualche art gallery (perché, non l'abbiamo ancora capito).
Però il clima ci lascia davvero di stucco.
Sono solo lontano ricordo gli stralci di Primavera piovosa e fredda della West Coast.
Qui fa davvero caldo e restiamo perfino in divisa ROSTI a maniche corte.
Bracciali, gambali e perfino canottiera OUTWET, riposti nelle nostre sacche (a parte quelli di Alessandro che per poco non svolazzano via).
In poche ore si forma già il segno dell'abbronzatura (e che segno!) con l'arsura affievolita solo leggermente dal vento contrario, che però aumenta la fatica.
Nonostante qualche clacksonata ignorante (quasi come in Italia. Quasi), da parte di Neozelandesi frustrati nonostante stiano andando al lago con la barca a rimorchio, l'obiettivo di oggi inizia ad apparire.
Perlomeno nei cartelli. Il Monte AORAKI, per i non Maori, il monte Cook, il più alto della Nazione con oltre 3700 mt di altezza (più dell'Adamello per intenderci, però non distante dall'oceano!).
Nonostante il suo nome sia probabilmente dovuto al Mr. Cook, a noi la traduzione letterale appare più azzeccata.
L'avvicinamento al Parco Naturale del monte COOK, ci cuoce a puntino.
Almeno a me, che nonostante il pranzo a buffet in qual di Fairlie, vengo definitivamente finito dal Passo Burkes.
Ma è una Domenica d'Estate, la bellezza di essere qua e finalmente la catena maestosa e ricca di ghiaccio del Monte Cook di fronte a me, mi fa proseguire. Very very very LENT ma seguent.
La pazienza di Ale, una barretta FALCO e due banane ci mettono il resto.
La visione del Lago Tekapo dall'alto è una ricompensa fin troppo generosa.
Una visione PAZZESCA.
Il colore dell'acqua è di un azzurro non umano, contornato dal viola luminoso dei Lupini, orgogliosi e impettiti al vento.
I colori del lago sembrano frutto di un filtro di Instagram, di un aumento di tonalità azzurro fluo.
E invece è tutto vero, lì ai nostri piedi.
E i nostri piedi ce li "pucciamo" pure dentro.
Almeno Alessandro. Io, faccio un immersione istantanea completa.
Riemergo fradicio, gelido, con la pelle d'oca e con negli occhi l'azzurrissimo Tekapo che sfuma nella catena del Monte Cook. Sono RINATO. Anzi, Resuscitato.
Come una Domenica, la Domenica di Pasqua.
C'è tempo per recuperare, soprattutto con un'altra visione. Quella del cielo stellato di stasera.
La strada che ci ha portato qua si chiama STARLIGHT Road, perché ci porta nel Parco Internazionale "Dark Sky reserve Aoraki McKenzie".
Insomma una riserva per uno dei cieli meno soggetti all'inquinamento luminoso AL MONDO.
Le STELLE ci attendono. Io ho pronto un paio di desideri.
Uno lo sto già realizzando.
LAKE TEKAPO - CLAY CLIFFS OMARAMA
Day 10 / stage 9
115 km - 600 mt up (km totali 975)
PUKAKI, PUKALA'
Abbiamo quasi raggiunto la migliaia di km in terra Neo Zelandese (li sorpasseremo domani) e i primi acciacchi e segni di stanchezza iniziano ad affiorare. Soprattutto nel “vecchio”, con un caviglia gonfia apparentemente allergica a qualsiasi cavalcavia.
Però, il grosso della difficoltà, altimetrica e di distanza macinata, è alle spalle.
Oggi è iniziata la “discesa” verso la East Coast. Discesa è un parolone, la geografia non funziona proprio così.
Eppure nella nostra mente, abbiamo inclinato la tavola della Nuova Zelanda e rotoleremo come biglie sulla sabbia.
Anzi sulla polvere del trail “Alps to ocean”, uno dei trail più spettacolari al mondo.
Usciremo dal traffico, abbracceremo un po’ di gravel e forse potremo anche goderci fianco a fianco le ultime tappe di questo viaggio incredibile, rivivendo già i momenti clou, che sembrano successi mesi fa. Ricorderemo le persone incontrate, che sembrano incontrate mesi fa. E rideremo. Di gusto.
Intanto oggi abbiamo solo assaggiato il trail, dopo aver piantato la tenda appena sopra ad Omarama.
Prima, ancora strada principale, ma con leggermente meno traffico e con paesaggi spettacolari come ormai tutti i giorni.
Dopo aver salutato il lake TEKAPO, abbiamo infatti pedalato sulle sponde del lake PUKAKI, il cui colore celeste alieno non ha nulla da invidiare al cugino maggiore.
Il resto della giornata, all’insegna di Monti verdi, pecore, mucche, lepri e qualche falchetto svolazzante poco sopra la nostra testa. Così come qualche areoplanino turistico diretto al ghiacciaio perenne del Monte Cook.
A chiudere la pedalata, abbiamo raggiunto scarichi le incredibili CLAY CLIFFS di Omarama.
Calanchi scavati in marne e argille grigio arancio, che sono tanto imponenti quanto fragili.
Alessandro, forse anche causa la sua recente esperienza a Girona a curare biciclette, si sente a Barcellona, all’ombra dei pinnacoli della Sagrada Familia.
Io ovviamente mi esalto come di fronte ad ogni bellezza geologica.
Qui in Nuova Zelanda, una dietro l’altra.
E manca ancora una settimana.
Day 10 / stage 9
115 km - 600 mt up (km totali 975)
PUKAKI, PUKALA'
Abbiamo quasi raggiunto la migliaia di km in terra Neo Zelandese (li sorpasseremo domani) e i primi acciacchi e segni di stanchezza iniziano ad affiorare. Soprattutto nel “vecchio”, con un caviglia gonfia apparentemente allergica a qualsiasi cavalcavia.
Però, il grosso della difficoltà, altimetrica e di distanza macinata, è alle spalle.
Oggi è iniziata la “discesa” verso la East Coast. Discesa è un parolone, la geografia non funziona proprio così.
Eppure nella nostra mente, abbiamo inclinato la tavola della Nuova Zelanda e rotoleremo come biglie sulla sabbia.
Anzi sulla polvere del trail “Alps to ocean”, uno dei trail più spettacolari al mondo.
Usciremo dal traffico, abbracceremo un po’ di gravel e forse potremo anche goderci fianco a fianco le ultime tappe di questo viaggio incredibile, rivivendo già i momenti clou, che sembrano successi mesi fa. Ricorderemo le persone incontrate, che sembrano incontrate mesi fa. E rideremo. Di gusto.
Intanto oggi abbiamo solo assaggiato il trail, dopo aver piantato la tenda appena sopra ad Omarama.
Prima, ancora strada principale, ma con leggermente meno traffico e con paesaggi spettacolari come ormai tutti i giorni.
Dopo aver salutato il lake TEKAPO, abbiamo infatti pedalato sulle sponde del lake PUKAKI, il cui colore celeste alieno non ha nulla da invidiare al cugino maggiore.
Il resto della giornata, all’insegna di Monti verdi, pecore, mucche, lepri e qualche falchetto svolazzante poco sopra la nostra testa. Così come qualche areoplanino turistico diretto al ghiacciaio perenne del Monte Cook.
A chiudere la pedalata, abbiamo raggiunto scarichi le incredibili CLAY CLIFFS di Omarama.
Calanchi scavati in marne e argille grigio arancio, che sono tanto imponenti quanto fragili.
Alessandro, forse anche causa la sua recente esperienza a Girona a curare biciclette, si sente a Barcellona, all’ombra dei pinnacoli della Sagrada Familia.
Io ovviamente mi esalto come di fronte ad ogni bellezza geologica.
Qui in Nuova Zelanda, una dietro l’altra.
E manca ancora una settimana.
Day 11 / Stage 9:
OMARAMA - OAMARU
140 Km 600 mt up. Km totali 1115.
PINGUINI
Alla soglia dei 1000 km in Nuova Zelanda carichi come muli, necessitiamo di rituali e formule per restare lucidi e mantenere le forze. Fisiche e mentali.
Soprattutto dopo una giornata come ieri, dove la sveglia era un presagio di una giornata storta. E invece, ridimensionando leggermente le tappe e sfruttando il giorno di scorta che ci era rimasto, siamo riusciti a ritrovare subito la forma.
Grazie ovviamente ai riti da sciamani.
Arnica ovunque, stretching, massaggi al ginepro fai da te, Voltaren sulla mia caviglia e nanna presto nella nostra tendina verde.
Stamattina poi, colazione super abbondante al nostro ormai supermercato di fiducia 4 Square (l'omino simbolo del market nazionale è ormai il nostro miglior amico) e un aiutino inatteso.
Nella tenda accanto alla nostra, al free-camp di OMARAMA, c'è un ragazzo inglese.
Ci chiede incuriositi del nostro viaggio in bicicletta e dopo 5 minuti si presenta con un sacco pieno di buste marroni con scritte descrittive al minimo sindacale.
"Food food, Energy fron the army".
Ecco, dopo la sponsorizzazione fantastica di ELLE ERRE, ROSTI, FALCO ADVANCED NUTRITION, OUTWET, BERTONI EYEWEAR e LAS HELMET, mancava solo L'ESERCITO ANZAC: Australia New Zeland Army Corps.
Aiuto giunto quando e da chi meno te lo aspetti.
Le cure e i riti fanno bene, oggi pedaliamo subito veloci, un po' sulla strada e un po' sull' A2O, ovvero l'Alps to Ocean track.
Da OMARAMA a OTEMATATA passando per la Benmore Dam.
Fortunatamente non è la diga del Gleno e ci permette di pedalare lungo tutto il suo cornicione.
Ma la Dam è dannata, anche per noi sciamani. Dam(n)!
Prima, ci supera a doppia velocità una signorotta con bici elettrica e un ghigno subdolo. Dam(n)!
Poi, appena raggiunti i 1000 km in terra NeoZelandese, la mia bici red Surly decide di tagliare la corda. Quella del CAMBIO. Dam(n)!
Ma siamo Bergamaschi, nulla ci ferma. Proseguo, utilizzando solo la corona centrale davanti, mentre fortunatamente posso ancora "sbizzarrirmi" con i pignoni.
La uso come scusa e mi attacco alla ruota di AleJet.
Il lago Benmore e il lago Aviemore, entrambi "digati" e entrambi sorgenti di energia elettrica (speriamo non per la signora che ci ha umiliato in salita), ci accompagnano per un paio d'ore.
Pedaliamo su strada asfaltata deserta, a ridosso delle loro acque cristalline.
Tutt'attorno il nulla.
È strano e bellissimo vedere le montagne brulle tutt'attorno senza neanche un segno di civiltà, se non qualche rara antenna o traliccio. TRANQUILLITÀ ESTREMA.
Nemmeno una baita. In realtà vediamo un sacco di roulotte ben curate e recintate sul lago. Ecco le loro baite, per i weekend di pesca al salmone alpino!
Oggi che doveva essere un giorno tranquillo e con meno di 100 km in programma, per recuperare, a pranzo ci ritroviamo già a destinazione. I riti non sbagliano mai.
E così, azzardiamo.
Cambiamo nuovamente programma e puntiamo di brutto la EAST COAST, con un giorno d'anticipo.
Il vero motivo? I PINGUINI.
Per ora quelli BLU di Oamaru.
Mentre mangiamo il secondo Magnum al caramello durante la pausa pranzo a Kurow (e che mal di Kurow!) scopriamo l'esistenza di un campeggio a 66 km da noi, dove tra una tenda e l'altra la sera dondolano orde di pinguini blu.
Sì, pinguini blu.
Abbandoniamo stanchezza, riposi o riflessioni varie da moralizzatori e partiamo.
Consci di quanto PINGU ci abbia formato quando eravamo fanciulli, VOGLIAMO VEDERLI.
Detto, fatto. Quasi. Per ora ne abbiamo visto solo uno, nascosto sotto la passerella della cucina mentre preparavamo la QUINOA per stasera.
Gli altri speriamo di vederli e immortalarli sul molo appena cala la luce e rientrano sulla terra ferma e alle loro tane.
Ah, intanto raggiungendo già Oamaru, abbiamo concluso l'Alps 2 Ocean in 2 giorni, anche se con molti tratti su strada.
Ma, la foto di rito, l'abbiamo fatta lo stesso.
Idem il brindisi con la birra Neo Zelandese Montheith's.
Ce la siamo meritata.
Come ci siamo meritati un giorno di pseudo riposo domani, con "solo" una cinquantina di km per raggiungere Moeraki, le sue rocce a guscio di tartaruga sulla spiaggia e i suoi PINGUINI. Altri pinguini, quelli dagli occhi gialli. Gli Yellow-eyed penguins.
P.s. ah, e ci siamo pure guadagnati il lusso di poter cercare una connessione decente per poter seguire la Dea in Champions. Per ricominciare a sentirsi anche un po' a casa, dove ormai torneremo a fine settimana.
Il grosso è fatto, ma qualche bello deve ancora venire. Per ora i PINGUINI!
👊
Day 12 / Stage 10:
OAMARU - MOERAKI
55 Km 700 mt up. Km totali 1170.
ANCORA IN CORSA
Passare una serata in una vera città, Oamaru (14.000 abitanti su una superficie più grande di quella di Bergamo!), dopo una decina di giorni, sembra surreale.
Per alleviare la transizione, idratiamo comunque le nostre buste liofilizzate, e ci lanciamo sul molo. Cerchiamo un po' di natura tra il cemento, elemento abbastanza raro e circoscritto su quest'isola.
La natura la troviamo in fretta. Appena il sole cala. Un centinaio di PINGUINI barcollano na non mollano, fuori dall'acqua e verso le loro tane.
Ogni tanto si nascondobo dietro un cespuglio o sotto una casetta, fanno annoiare i giappo in attesa con la Canon e poi ripartono, con il nostro passo. Lent ma seguent. Più o meno.
Perfino quando devono ripararsi da fari di macchine o da "folle" curiose, si fermano timidi, quasi pietrificati e poi ripartono. Per la loro tana, restano IN CORSA.
Come la DEA e come noi.
Nonostante le tre sconfitte iniziali in Champions League per loro e nonostante i tre raggi rotti della mia ruota posteriore per noi.
La speranza di rimanere in corsa, per la qualificazione per loro, per chiudere il viaggio sui pedali per noi, risorge in un paio d'ore, in contemporanea.
Stamattina tra le 9 e le 11.
Per la Dea (che ci godiamo in streaming dallo st(r)eam cafè mangiando frittata, brownies e torta salata), accade sotto ai tocchi magici di Papu & Co. Per noi, accade sotto ai tocchi esperti del ciclista Martyn's, che oltre a vendere le bici Neozelandesi AVANTI, fa anche da meccanico.
AVANTI, appunto. I Pinguini, la Dea e noi.
Ancora in corsa.
Dopo l'ennesimo stop al 4 Squares (acqua, biscotti, banane, gelato al caramello e scones!), la nostra corsa prosegue lungo la East Coast, direzione sud.
Una strada ovviamente in saliscendi (a parte la strada solo in salita in uscita da Oamaru, simil San Francisco), ci fa accarezzare le lunghe spiagge dorate per poi farci immergere di nuovo tra i campi verdissimi e pecorosi. BEEEHHHH.
RItorniamo sulla spiaggia, a piedi nudi e con le bici parcheggiate, per fotografare (nella macchina fumante di Ale e nella mia mente bramosa di gioielli geologici) i Moeraki boulders.
Letteralmente palle giganti di roccia.
Se a Castle Hill abbiamo visti la tavola imbandita dei giganti di roccia, a Moeraki abbiamo visto il loro playground.
Il parco giochi con la pista di biglie giganti. Ovviamente sulla spiaggia.
Nessun ciclista però nelle loro biglie; solo nuclei cristallini che hanno scatenato concrezioni calcaree concentriche. Insomma il nucleo è l'origine, la crosta lo strato più recente.
Come succede con le palle di neve che rotolano.
La leggenda però, più romantica, vuole che siano patate e botti pietrificate dell'Arca Divina naufragata quí all'origine dei tempi.
Leggere delle patate ci fa tornare fame e ripartiamo.
A Moeraki però, un'altra deviazione.
Dopo una sfida contro il tempo sulle strade bianche neozelandesi, Pinot contro il Purito, raggiungiamo a piedi il FARO DI KATIKI POINT.
Katiki Light House, ora senza custode (what a job !), perché automatizzato e controllato da Wellington.
Il Faro poco imponente, quasi da fare tenerezza, di Katiki, ci accoglie nell'ennesima riserva naturale.
Foche che nuotano, foche che si rotolano, foche che proteggono i loro piccoli dal nostro arrivo con tanto di ringhiata aggressiva e gabbiani giganti che mangiano lepri.
Ah e lepri, lepri, lepri.
Purtroppo gli Yellow Eye penguins, vera attrazione di questo stralcio di Eden selvaggio e contornato da spiaggette dorate e da scogli calcarei, sono ancora a caccia in mare.
Torneranno quando il sole cala, ma la riserva sarà allora già chiusa.
Così, potremmo riprovarci domattina presto. Prima dell'ultima tappa, scoscesa e collinare. Passerella mica tanto.
Yellow Eye Penguins, noi non ci arrendiamo.
Come voi. Come la Dea.
ANCORA IN CORSA.
OAMARU - MOERAKI
55 Km 700 mt up. Km totali 1170.
ANCORA IN CORSA
Passare una serata in una vera città, Oamaru (14.000 abitanti su una superficie più grande di quella di Bergamo!), dopo una decina di giorni, sembra surreale.
Per alleviare la transizione, idratiamo comunque le nostre buste liofilizzate, e ci lanciamo sul molo. Cerchiamo un po' di natura tra il cemento, elemento abbastanza raro e circoscritto su quest'isola.
La natura la troviamo in fretta. Appena il sole cala. Un centinaio di PINGUINI barcollano na non mollano, fuori dall'acqua e verso le loro tane.
Ogni tanto si nascondobo dietro un cespuglio o sotto una casetta, fanno annoiare i giappo in attesa con la Canon e poi ripartono, con il nostro passo. Lent ma seguent. Più o meno.
Perfino quando devono ripararsi da fari di macchine o da "folle" curiose, si fermano timidi, quasi pietrificati e poi ripartono. Per la loro tana, restano IN CORSA.
Come la DEA e come noi.
Nonostante le tre sconfitte iniziali in Champions League per loro e nonostante i tre raggi rotti della mia ruota posteriore per noi.
La speranza di rimanere in corsa, per la qualificazione per loro, per chiudere il viaggio sui pedali per noi, risorge in un paio d'ore, in contemporanea.
Stamattina tra le 9 e le 11.
Per la Dea (che ci godiamo in streaming dallo st(r)eam cafè mangiando frittata, brownies e torta salata), accade sotto ai tocchi magici di Papu & Co. Per noi, accade sotto ai tocchi esperti del ciclista Martyn's, che oltre a vendere le bici Neozelandesi AVANTI, fa anche da meccanico.
AVANTI, appunto. I Pinguini, la Dea e noi.
Ancora in corsa.
Dopo l'ennesimo stop al 4 Squares (acqua, biscotti, banane, gelato al caramello e scones!), la nostra corsa prosegue lungo la East Coast, direzione sud.
Una strada ovviamente in saliscendi (a parte la strada solo in salita in uscita da Oamaru, simil San Francisco), ci fa accarezzare le lunghe spiagge dorate per poi farci immergere di nuovo tra i campi verdissimi e pecorosi. BEEEHHHH.
RItorniamo sulla spiaggia, a piedi nudi e con le bici parcheggiate, per fotografare (nella macchina fumante di Ale e nella mia mente bramosa di gioielli geologici) i Moeraki boulders.
Letteralmente palle giganti di roccia.
Se a Castle Hill abbiamo visti la tavola imbandita dei giganti di roccia, a Moeraki abbiamo visto il loro playground.
Il parco giochi con la pista di biglie giganti. Ovviamente sulla spiaggia.
Nessun ciclista però nelle loro biglie; solo nuclei cristallini che hanno scatenato concrezioni calcaree concentriche. Insomma il nucleo è l'origine, la crosta lo strato più recente.
Come succede con le palle di neve che rotolano.
La leggenda però, più romantica, vuole che siano patate e botti pietrificate dell'Arca Divina naufragata quí all'origine dei tempi.
Leggere delle patate ci fa tornare fame e ripartiamo.
A Moeraki però, un'altra deviazione.
Dopo una sfida contro il tempo sulle strade bianche neozelandesi, Pinot contro il Purito, raggiungiamo a piedi il FARO DI KATIKI POINT.
Katiki Light House, ora senza custode (what a job !), perché automatizzato e controllato da Wellington.
Il Faro poco imponente, quasi da fare tenerezza, di Katiki, ci accoglie nell'ennesima riserva naturale.
Foche che nuotano, foche che si rotolano, foche che proteggono i loro piccoli dal nostro arrivo con tanto di ringhiata aggressiva e gabbiani giganti che mangiano lepri.
Ah e lepri, lepri, lepri.
Purtroppo gli Yellow Eye penguins, vera attrazione di questo stralcio di Eden selvaggio e contornato da spiaggette dorate e da scogli calcarei, sono ancora a caccia in mare.
Torneranno quando il sole cala, ma la riserva sarà allora già chiusa.
Così, potremmo riprovarci domattina presto. Prima dell'ultima tappa, scoscesa e collinare. Passerella mica tanto.
Yellow Eye Penguins, noi non ci arrendiamo.
Come voi. Come la Dea.
ANCORA IN CORSA.
TE OAOA
Day 13 / Stage 11:
Moeraki - DUNEDIN 90 km 1200 mt up, km tot 1300
TE OAOA, in Islandese HAMINGJA.
Nel libro che ho scritto quest'anno (sì, suona strano anche a me), ho parlato di HAMINGJA. Quella sensazione di serenità e completezza alla fine di un'esperienza che rimarrà per sempre un tassello importante nella tua esistenza.
Può esser durata pure pochi giorni, ma sarà un tassello del tetris. Di quelli che incastri perfetto, senza spigoli che avanzano e che permette ai successivi di puntare in alto.
Ora parlerò di TE OAOA. TE OAOA, in MAORI. TE OAOA, felicità.
Oggi, l'ho ritrovata di nuovo, mentre avevamo sotto alle nostre ruote la città di Dunedin sull'ultimo GPM del viaggio, Cargill Mount. Appaiata sull'ennesima baia, Dunedin è lì che ci aspetta. Aspetta noi, ma non lo sa nemmeno. Eppure è un po' che noi pensiamo a lei.
Dietro a me, Alessandro. È staccato, solo perché il vecchio ha usato malizia e astuzia, e ha allungato la mano per cambiargli il rapporto (doveva tornerglielo dal primo giorno). E poi è scattato, per godersi lo scollinamento.
Per godersi, la TE OAOA. Che poi, senza Alessandro che lo raggiunge appena dopo, non sarebbe tale.
Dunedin è lì, silente ma agitata, che aspetta il nostro arrivo.
1300 km in questa Terra incredibile e unica.
Oggi ci ha deliziato con lo Shag Point, le sue foche e i suoi Boulders a forma di palla e le Mermaid pools, le "piscine" delle sirene.
TE OAOA. I tavolini in legno dell'ostello di Dunedin e una pint di Bird Dog neozelandese ad accompagnare l'arrivo.
Diciamo due pints.
Ce l'abbiamo fatta anche stavolta. Abbiamo riempito le sacche rosse di sabbia, di erba, di polvere e di esperienze incredibili. Nel bene e nel male, nelle difficoltà e nelle coincidenze benevole.
Comunque sempre TE OAOA.
Anche in cima a Baldwin Street, la salita più ripida al mondo. Un Nonsense farla in bicicletta e poi essere costretti a scenderla a piedi. Ma l'abbiamo fatta. Perché? TE OAOA. E ci è toccato pure fare foto con giapponesi avvenenti che ci volevano a tutti i costi nel loro album delle vacanze.
Per me personalmente Dunedin ha pure rappresentato un altro traguardo.
10.000 km in giro per l'Europa, ora posso dire per il mondo, con tutto ciò che mi serve sui miei polpacci. Può sembrare poco. C'è chi lo fa in poco tempo o chi ne fa molto di più. Per me, da quando ho 14 anni, queste 700 ore su un sellino con il mal di sedere e con la schiena piegata a sopportare il peso di sacche, tenda e pentolino, rappresentano molto.
Rappresentano chi mi ha cresciuto, rappresentano chi voglio diventare.
Semplicemente un cercatore di TE OAOA.
Oggi l'ho ritrovata. Anzi, l'abbiamo trovata.
TE OAOA.
In Nuova Zelanda. Nel luogo più lontano in cui potevamo cercarla.
TE OAOA.
E ringraziamo chi ci ha supportato un questa ricerca dall'altra parte del mondo.
ELLE ERRE per averci scelto come vincitori del loro fantastico Adventure Challenge (che onore!), ROSTI per averci vestito a puntino e con divise uniche per quest'avventura, FALCO (con un nome così non poteva non essere nostra) per averci alimentato nei momenti (molti) di difficoltà, OUTWET per averci fornito materiale ulratecnico per combattere il freddo, BERTONI EYEWEAR per gli occhiali fotocromatici perfetti per il meteo ballerino dei Kiwi e LAS HELMET per averci protetto (fortunatamente non è servito) dai Neozelandesi tanto fortunati a vivere in un Paradiso incontaminato quanto pazzi e folli sulle strade.
Day 13 / Stage 11:
Moeraki - DUNEDIN 90 km 1200 mt up, km tot 1300
TE OAOA, in Islandese HAMINGJA.
Nel libro che ho scritto quest'anno (sì, suona strano anche a me), ho parlato di HAMINGJA. Quella sensazione di serenità e completezza alla fine di un'esperienza che rimarrà per sempre un tassello importante nella tua esistenza.
Può esser durata pure pochi giorni, ma sarà un tassello del tetris. Di quelli che incastri perfetto, senza spigoli che avanzano e che permette ai successivi di puntare in alto.
Ora parlerò di TE OAOA. TE OAOA, in MAORI. TE OAOA, felicità.
Oggi, l'ho ritrovata di nuovo, mentre avevamo sotto alle nostre ruote la città di Dunedin sull'ultimo GPM del viaggio, Cargill Mount. Appaiata sull'ennesima baia, Dunedin è lì che ci aspetta. Aspetta noi, ma non lo sa nemmeno. Eppure è un po' che noi pensiamo a lei.
Dietro a me, Alessandro. È staccato, solo perché il vecchio ha usato malizia e astuzia, e ha allungato la mano per cambiargli il rapporto (doveva tornerglielo dal primo giorno). E poi è scattato, per godersi lo scollinamento.
Per godersi, la TE OAOA. Che poi, senza Alessandro che lo raggiunge appena dopo, non sarebbe tale.
Dunedin è lì, silente ma agitata, che aspetta il nostro arrivo.
1300 km in questa Terra incredibile e unica.
Oggi ci ha deliziato con lo Shag Point, le sue foche e i suoi Boulders a forma di palla e le Mermaid pools, le "piscine" delle sirene.
TE OAOA. I tavolini in legno dell'ostello di Dunedin e una pint di Bird Dog neozelandese ad accompagnare l'arrivo.
Diciamo due pints.
Ce l'abbiamo fatta anche stavolta. Abbiamo riempito le sacche rosse di sabbia, di erba, di polvere e di esperienze incredibili. Nel bene e nel male, nelle difficoltà e nelle coincidenze benevole.
Comunque sempre TE OAOA.
Anche in cima a Baldwin Street, la salita più ripida al mondo. Un Nonsense farla in bicicletta e poi essere costretti a scenderla a piedi. Ma l'abbiamo fatta. Perché? TE OAOA. E ci è toccato pure fare foto con giapponesi avvenenti che ci volevano a tutti i costi nel loro album delle vacanze.
Per me personalmente Dunedin ha pure rappresentato un altro traguardo.
10.000 km in giro per l'Europa, ora posso dire per il mondo, con tutto ciò che mi serve sui miei polpacci. Può sembrare poco. C'è chi lo fa in poco tempo o chi ne fa molto di più. Per me, da quando ho 14 anni, queste 700 ore su un sellino con il mal di sedere e con la schiena piegata a sopportare il peso di sacche, tenda e pentolino, rappresentano molto.
Rappresentano chi mi ha cresciuto, rappresentano chi voglio diventare.
Semplicemente un cercatore di TE OAOA.
Oggi l'ho ritrovata. Anzi, l'abbiamo trovata.
TE OAOA.
In Nuova Zelanda. Nel luogo più lontano in cui potevamo cercarla.
TE OAOA.
E ringraziamo chi ci ha supportato un questa ricerca dall'altra parte del mondo.
ELLE ERRE per averci scelto come vincitori del loro fantastico Adventure Challenge (che onore!), ROSTI per averci vestito a puntino e con divise uniche per quest'avventura, FALCO (con un nome così non poteva non essere nostra) per averci alimentato nei momenti (molti) di difficoltà, OUTWET per averci fornito materiale ulratecnico per combattere il freddo, BERTONI EYEWEAR per gli occhiali fotocromatici perfetti per il meteo ballerino dei Kiwi e LAS HELMET per averci protetto (fortunatamente non è servito) dai Neozelandesi tanto fortunati a vivere in un Paradiso incontaminato quanto pazzi e folli sulle strade.
L 'ARMADIO PER NARNIA
DIAMO I NUMERI
* 1.250 km pedalati
* 11.700 mt di dislivello
* 66 ore in sella (almeno 200 percepite)
* A 18.000 km da casa (che abbiamo appena ripercorso in quasi 30 ore di volo).
* 3 raggi rotti
* 0, ridico 0 forature. Ma 0!!!! Giuro, 0!!!
* 12 giorni in sella, di cui 7 di fila sempre sopra al centello.
* 17 giorni totali (percepiti almeno 2 mesi)
* 13 kg di Surley, 20 di bagaglio
* 9 notti in tenda
* 2 coste (1 fradicia e 1 asciutta)
* Temperature da 0°C a +30°C (da -20°C a +50°C percepiti)
* 18 buste di cibo liofilizzato
* 18 birre (quasi tutte in questo "weekend" a Dunedin)
* 3 Oki per denti e caviglia
* 6 supporters incredibili (ELLE ERRE, ROSTI, FALCO ADVANCED NUTRITION, LAS HELMET, BERTONI EYEWEAR, OUTWET).
* Migliaia di foto (memorie piene da svuotare su ogni device)
* Milioni di pecore
* Milioni di mucche
* Migliaia di lepri
* Centinaia di pinguini
* Miliardi di cinguettii assurdi
* Centinaia di specchi d'acqua di tonalità pure e uniche
* Ettari di terreno incontaminato, raramente brullo per la quota, altrimenti rigoglioso e prepotente. Nel senso positivo del termine. Prepotente, perché non accetta confini o muri. FELCI giganti.
* Decine e decine di lavoratori arancioni o giallo fluo per la strada, un cenno di saluto e una chiamata al walkie talkie "Ehy, I've got two cyclists coming now".
* Centinaia di nomi in Maori dal suono più invitante del Magnum al caramello e noci di macadamia (quasi). AO TEAROA, PIPIOTHAI, TE OA OA.
* Decine di "Hey, how's going". Quasi tuttI concentrati a Dunedin e Queenstown.
* Due "genitori per un giorno", John&Eleonore d'oltre manica. E un invito a rivederli a Cork.
* 7 meraviglie (non è così facile sceglierle):
MILFORD SOUND, LAKE TEKAPO e il CIELO STELLATISSIMO, CASTLE HILL, OMARAMA CLAY CLIFFS, PANCAKES ROCKS, MOKE LAKE, extreme HAMBURGER&BEER a Queenstown.
* 1 viaggio che andava fatto. E meglio di così non poteva andare.
I numeri nel nostro caso sono spogli di significato. O meglio, sono cavi all'interno, perché nudi contenitori del vero significato di questo viaggio, di quest'avventura, di questo stralcio di vita, tanto minuscolo se visto da ingegeneri del tempo, quanto enorme se visto, anzi percepito, da amanti del tempo.
L'ennesima prova che quando si vive profondamente qualcosa, dal singolo istante di sveglia al freddo e umido di una tendina sperduta, fino al singolo istante in cui spegni la torcia frontale al freddo e umido di una tendina sperduta, il tempo cambia forma e consistenza.
Il relativismo di Einstein, dove pure per un fisico, i numeri diventano superflui.
Scatole cave, che contengono molto più di ciò che si scommetterebbe dall'esterno.
Proprio come l' ARMADIO per NARNIA.
DIAMO I NUMERI
* 1.250 km pedalati
* 11.700 mt di dislivello
* 66 ore in sella (almeno 200 percepite)
* A 18.000 km da casa (che abbiamo appena ripercorso in quasi 30 ore di volo).
* 3 raggi rotti
* 0, ridico 0 forature. Ma 0!!!! Giuro, 0!!!
* 12 giorni in sella, di cui 7 di fila sempre sopra al centello.
* 17 giorni totali (percepiti almeno 2 mesi)
* 13 kg di Surley, 20 di bagaglio
* 9 notti in tenda
* 2 coste (1 fradicia e 1 asciutta)
* Temperature da 0°C a +30°C (da -20°C a +50°C percepiti)
* 18 buste di cibo liofilizzato
* 18 birre (quasi tutte in questo "weekend" a Dunedin)
* 3 Oki per denti e caviglia
* 6 supporters incredibili (ELLE ERRE, ROSTI, FALCO ADVANCED NUTRITION, LAS HELMET, BERTONI EYEWEAR, OUTWET).
* Migliaia di foto (memorie piene da svuotare su ogni device)
* Milioni di pecore
* Milioni di mucche
* Migliaia di lepri
* Centinaia di pinguini
* Miliardi di cinguettii assurdi
* Centinaia di specchi d'acqua di tonalità pure e uniche
* Ettari di terreno incontaminato, raramente brullo per la quota, altrimenti rigoglioso e prepotente. Nel senso positivo del termine. Prepotente, perché non accetta confini o muri. FELCI giganti.
* Decine e decine di lavoratori arancioni o giallo fluo per la strada, un cenno di saluto e una chiamata al walkie talkie "Ehy, I've got two cyclists coming now".
* Centinaia di nomi in Maori dal suono più invitante del Magnum al caramello e noci di macadamia (quasi). AO TEAROA, PIPIOTHAI, TE OA OA.
* Decine di "Hey, how's going". Quasi tuttI concentrati a Dunedin e Queenstown.
* Due "genitori per un giorno", John&Eleonore d'oltre manica. E un invito a rivederli a Cork.
* 7 meraviglie (non è così facile sceglierle):
MILFORD SOUND, LAKE TEKAPO e il CIELO STELLATISSIMO, CASTLE HILL, OMARAMA CLAY CLIFFS, PANCAKES ROCKS, MOKE LAKE, extreme HAMBURGER&BEER a Queenstown.
* 1 viaggio che andava fatto. E meglio di così non poteva andare.
I numeri nel nostro caso sono spogli di significato. O meglio, sono cavi all'interno, perché nudi contenitori del vero significato di questo viaggio, di quest'avventura, di questo stralcio di vita, tanto minuscolo se visto da ingegeneri del tempo, quanto enorme se visto, anzi percepito, da amanti del tempo.
L'ennesima prova che quando si vive profondamente qualcosa, dal singolo istante di sveglia al freddo e umido di una tendina sperduta, fino al singolo istante in cui spegni la torcia frontale al freddo e umido di una tendina sperduta, il tempo cambia forma e consistenza.
Il relativismo di Einstein, dove pure per un fisico, i numeri diventano superflui.
Scatole cave, che contengono molto più di ciò che si scommetterebbe dall'esterno.
Proprio come l' ARMADIO per NARNIA.
Deserved it.